Cassazione Penale Sentenza n. 47748/18 – Responsabilità medica

Cassazione Penale Sentenza n. 47748/18 – Responsabilità medica – La Corte di Cassazione ha affermato che l’errore diagnostico si configura non solo quando, in presenza di uno o più sintomi di una malattia, non si riesca ad inquadrare il caso clinico in una patologia nota alla scienza o si addivenga ad un inquadramento erroneo ma anche qualora si ometta di eseguire o disporre controlli ed accertamenti doverosi, ai fini di una corretta formulazione della diagnosi. D’altronde, allorché il sanitario si trovi di fronte a una sintomatologia idonea a condurre alla formulazione di una diagnosi differenziale, la condotta è colposa allorquando non si proceda alla stessa e ci si mantenga invece nell’erronea posizione diagnostica iniziale.

FATTO E DIRITTO: F. L., imputato, e le parti civili, A. A. e I. C., ricorrono per cassazione avverso la sentenza in epigrafe indicata, rispettivamente nella parte in cui è stata confermata la penale responsabilità del F. e nella parte in cui è stata assolta Z. E., in ordine al reato di cui agli artt. 113 e 589 cod. pen. perché, in cooperazione tra loro, in qualità di medici della Divisione clinicizzata di cardiologia dell’Ospedale civile maggiore di Verona, omettendo la tempestiva identificazione della patologia (dissecazione aortica) da cui era affetto A. G., paziente seguito dal F. nella notte tra il 12 e il 13 aprile del 2009 e visitato dalla Z. alle ore 9 del 13/4/2009, e omettendo altresì, conseguentemente, l’effettuazione di adeguato intervento chirurgico, cagionavano la morte del paziente, verificatasi il 14- 4- 2009, per tamponamento cardiaco da rottura di dissecazione del segmento prossimale dell’aorta. Il reato è estinto per prescrizione. Nel caso in disamina, il giudice a quo ha evidenziato che, secondo la concorde valutazione dei consulenti tecnici della parte civile, del pubblico ministero e dei periti nominati dal giudice, la situazione patologica prospettatasi doveva indurre ad escludere la diagnosticata sindrome coronarica acuta e ad orientarsi per altra patologia, effettuando le indagini strumentali del caso. Viceversa i sanitari si sono arroccati sulla diagnosi iniziale, senza nemmeno ipotizzare la dissezione dell’aorta e quindi senza disporre le indagini strumentali che avrebbero consentito una valutazione più completa ed efficace. Infatti, una valutazione corretta del tracciato dell’ECG, la negatività degli enzimi nniocardici e le indicazioni provenienti dall’ecografia e dalla radiografia toracica, piuttosto che confermare la validità della scelta diagnostica adottata, avrebbero dovuto orientare, secondo una buona scienza medica e soprattutto specialistica, per la diagnosi differenziale, imponendo l’adozione di tecniche strumentali di accertamento, quali la TC multistrato o una ecoangiografia, assolutamente routinari e nient’affatto eccezionali, che avrebbero condotto all’individuazione della dissezione dell’aorta. D’altronde, gli accertamenti strumentali effettuati al momento del ricovero non apparivano affatto dirimenti, poiché anzi le relative risultanze imponevano ulteriori approfondimenti, in considerazione dell’ aspecificità del tracciato dell’ECG e della negatività degli enzimi miocardici. Anche la valutazione delle risultanze dell’ ecoscopia appare sommaria e volta a confermare piuttosto che a mettere in discussione la diagnosi iniziale, atteso che non è stata esaminata la parte superiore del cuore, l’origine dell’aorta e i tronchi sovraortici, il cui esame avrebbe potuto essere risolutivo nella definizione della corretta diagnosi. Sono poi stati trascurati ulteriori sintomi e cioè la persistenza e la migrazione del dolore, che, in connessione alle risultanze appena evidenziate, avrebbero imposto anch’essi una revisione dell’originaria diagnosi. Viceversa dopo la diagnosi di sindrome coronarica acuta, nulla è stato fatto per verificare e correggere tale giudizio, nonostante il paziente lamentasse dolori lombari resistenti alla terapia antalgica. L’arroccamento sull’iniziale diagnosi ha determinato così la dimissione del paziente dall’UCIC senza che nel diario clinico fosse nemmeno indicata la necessità di ulteriori accertamenti. Né si può obiettare che la dissezione dell’aorta costituisce patologia rara e di difficile individuazione, trattandosi oltretutto di un reparto di alta specializzazione, di livello ben superiore alla norma e di alto profilo internazionale. L’impianto argomentativo a sostegno del decisum è dunque puntuale, coerente, privo di discrasie logiche, del tutto idoneo a rendere intelligibile l’iter logico-giuridico seguito dal giudice e perciò a superare lo scrutinio di legittimità, avendo i giudici di secondo grado preso in esame tutte le deduzioni difensive ed essendo pervenuti alle loro conclusioni attraverso un itinerario logico-giuridico in nessun modo censurabile, sotto il profilo della razionalità, e sulla base di apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in questa sede. Le conclusioni a cui è pervenuto il giudice a quo sono del tutto aderenti al consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui l’errore diagnostico si configura non solo quando, in presenza di uno o più sintomi di una malattia, non si riesca ad inquadrare il caso clinico in una patologia nota alla scienza o si addivenga ad un inquadramento erroneo ma anche qualora si ometta di eseguire o disporre controlli ed accertamenti doverosi, ai fini di una corretta formulazione della diagnosi. D’altronde, allorché il sanitario si trovi di fronte a una sintomatologia idonea a condurre alla formulazione di una diagnosi differenziale, la condotta è colposa allorquando non si proceda alla stessa e ci si mantenga invece nell’erronea posizione diagnostica iniziale. Occorre però stabilire quale sia il regime giuridico applicabile al caso di specie. Al riguardo, occorre rilevare come dall’epoca in cui si è verificato il fatto, nell’anno 2009, ad oggi si siano succedute ben tre normative. Nel 2009 l’ordinamento non dettava alcuna particolare prescrizione in tema di responsabilità medica. Erano dunque applicabili i principi generali in materia di colpa, alla stregua dei quali il professionista era penalmente responsabile, ex art.43 cod. pen., quale che fosse il grado della colpa. Era cioè indifferente, ai fini della responsabilità, che il medico versasse in colpa lieve o in colpa grave. Nel 2012 entrò in vigore il decreto-legge 13 settembre 2012 n. 158, convertito in legge 8 novembre 2012 n. 189 (cosiddetta legge Balduzzi), il quale all’art. 3, comma 1, recitava: “L’esercente la professione sanitaria che, nello svolgimento della propria attività, si attiene alle linee-guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve In tali casi, resta comunque fermo l’obbligo di cui all’art. 2043 del codice civile. Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo”. E’ poi, di recente, entrata in vigore la legge 8 marzo 2017 n. 24 ( c.d. legge Gelli-Bianco), la quale, all’art. 6, ha abrogato il predetto art. 3 d. I. n. 158 del 2012 e ha dettato l’art. 590 sexies cod. pen., attualmente vigente. Nel caso di specie, va esclusa l’applicabilità sia dell’art. 3, comma 1, d. I. n. 158 del 2012 che dell’art. 590 sexies cod. pen. Per quanto riguarda quest’ultima norma, va, infatti, rilevato come il tenore testuale dell’art. 590 sexies, introdotto dalla legge n. 24 del 2017, nella parte in cui fa riferimento alle linee-guida, sia assolutamente inequivbco nel subordinare roperatività della disposizione all’emanazione di linee-guida “come definite e pubblicate ai sensi di legge”. La norma richiama dunque l’art. 5 I. n. 24 del 2017, che detta, come è noto, un articolato iter di elaborazione e di emanazione delle linee- guida. Dunque, in mancanza di linee-guida approvate ed emanate mediante il procedimento di cui all’art. 5 I. n 24 del 2017, non può farsi riferimento all’art.590 sexies cod. pen.,se non nella parte in cui questa norma richiama le buone pratiche clinico-assistenziali, rimanendo, naturalmente, ferma la possibilità di trarre utili indicazioni di carattere ermeneutico dall’art. 590 sexies cod. pen., che, a regime, quando verranno emanate le linee-guida con il procedimento di cui all’art. 5, costituirà il fulcro dell’architettura normativa e concettuale in tema di responsabilità penale del medico. Ne deriva che la possibilità di riservare uno spazio applicativo nell’attuale panorama fenomenologico all’art. 590 sexies cod. pen. è ancorata all’opzione ermeneutica consistente nel ritenere che le linee- guida attualmente vigenti, non approvate secondo il procedimento di cui all’art. 5 I. n. 24 del 2017, possano venire in rilievo, nella prospettiva delineata dalla norma in esame, come buone pratiche clinico-assistenziali. Opzione ermeneutica non agevole ove si consideri che le linee guida differiscono notevolmente, sotto il profilo concettuale, prima ancora che tecnico -operativo, dalle buone pratiche clinico- assistenziali, sostanziandosi in raccomandazioni di comportamento clinico sviluppate attraverso un processo sistematico di elaborazione concettuale, volto a offrire indicazioni utili ai medici nel decidere quale sia il percorso diagnostico- terapeutico più appropriato in specifiche circostanze cliniche. Esse consistono dunque nell’indicazione di standards diagnostico-terapeutici conformi alle regole dettate dalla migliore scienza medica, a garanzia della salute del paziente e costituiscono il condensato delle acquisizioni scientifiche, tecnologiche e metodologiche concernenti i singoli ambiti operativi (Sez. U., n. 29 del 21-12-2017) : e quindi qualcosa di molto diverso da una semplice buona pratica clinico-asssitenziale. Ma anche se volesse accedersi alla tesi, pur non esente da profili di problematicità, dell’equiparazione delle, linee- guida attualmente vigenti – non approvate ed emanate attraverso il procedimento di cui all’art. 5 I. n. 24 del 2017- alle buone pratiche clinico- assistenziali, previste dall’art. 590 sexies cod. pen., aprendo così la strada ad un’immediata operatività dei principi dettati da quest’ultima norma, rimarrebbe insuperabile il rilievo secondo cui essa esclude la punibilità soltanto laddove siano state rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida oppure le buone pratiche clinico- assistenziali. E abbiamo poc’anzi visto invece come, secondo quanto emerge dalla sentenza impugnata, esse non siano state affatto rispettate, poiché i giudici di merito hanno accertato profili di imperizia, consistenti nella mancata posizione in diagnosi differenziale della dissezione dell’Aorta e nell’errata formulazione della diagnosi di sindrome coronarica acuta, nonostante gli esiti delle analisi, per nulla dirimenti. Hanno poi accertato profili di negligenza, consistenti nella omessa esecuzione degli esami indicati dalle linee guida; nella omessa visione diretta delle lastre della radiografia toracica, dimostrative dello sbandamento dell’aorta, e nella omessa esecuzione di una ECO completa, per esaminare la parte superiore del cuore, l’origine dell’aorta e i tronchi sovraortici. Vengono dunque a mancare due dei presupposti fondamentali per l’applicabilità dell’art. 590 sexies cod. pen. e cioè il rispetto delle raccomandazioni previste dalle linee guida e la ravvisabilità in via esclusiva di imperizia e non anche di negligenza. Per le stesse ragioni non può trovare applicazione neanche l’art. 3 d. I. n. 158 del 2012; non potendosi ritenere che il Franceschini si sia attenuto alle linee-guida e alle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica. La Corte ha annullato la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione.

Autore: Marcello Fontana - Ufficio Legislativo FNOMCeO

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