“Oggi celebriamo un patrimonio di idee e di organizzazione, di lavoro e di strutture, di scienza, ma anche di umanità che dà corpo al nostro Sistema Sanitario Nazionale” ha affermato questa mattina il ministro della Salute Giulia Grillo concludendo l’incontro “La sfida continua” nell’ambito delle celebrazioni per i 40 anni del SSN. Riferendosi alla legge 833 del 1978 che ha istituito il Sistema Sanitario Nazionale ha dichiarato: “Questa legge rese l’Italia un modello di civiltà e di avanguardia nelle politiche sanitarie e sociali in Europa e, lo affermo con molto orgoglio, in tutto il mondo. Oggi siamo chiamati a mantenere vivo lo spirito che originò questa grande riforma. La giornata di oggi deve rappresentare un’occasione per riflettere sulla contemporaneità del SSN e rilanciarne il messaggio di universalismo e coesione territoriale”.
L’intervento del Ministro Grillo è stato preceduto dalle testimonianze di 7 operatori sanitari che hanno raccontato la loro professione e perché si sentono parte del Servizio Sanitario Nazionale, e che sono disponibili in calce all’articolo. Potete leggere il discorso integrale del Ministro e tutti gli interventi nei file allegati.
Ma molti altri sono stati i medici venuti da tutta Italia per portare la loro testimonianza. Tra di loro anche Francesca Manzieri, giovane medico di famiglia, che ha aperto un ambulatorio a Torino appena un mese dopo aver dato alla luce una bambina. Ecco, di seguito, la sua storia, che è stata anche raccontata nello speciale Tg3 di oggi.
La mia storia è simile a quella di molte altre donne che sono mamme e professioniste.
Io sono una medica. Una medica di medicina generale. Ho conseguito il Diploma di Formazione Specifica dopo i tre anni di corso nel dicembre del 2015, ma già dal 2014 lavoro presso il servizio di Continuità Assistenziale (la ex Guardia Medica).
Ad ottobre dello scorso anno, mentre ero al quinto mese di gravidanza, sono stata chiamata dalla graduatoria regionale per ricoprire un posto da medica di famiglia nella mia città, Torino, e ho accettato.
Prima di prendere questa decisione vi confesso che mi sono assicurata di avere il sostegno dei miei familiari. Ho inoltre pensato che in fondo mettere in piedi un ambulatorio con una bimba dentro la pancia fosse più semplice che occuparmene in futuro con una bimba in braccio… e allora perché aspettare e non cogliere al volo questa occasione? Certo, riguardo a come avrei affrontato il dopo, invece, c’è stata da parte mia forse anche un pizzico di incoscienza…
Essere una medica di famiglia infatti vuol dire essere una libero professionista che, però, svolge al contempo anche un pubblico servizio e che, pertanto, in caso di bisogno, come un figlio a cui viene improvvisamente la febbre, non può semplicemente spostare gli appuntamenti con i pazienti e tirare giù la serranda. È necessario nominare in urgenza un medico sostituto che, vista la carenza di medici in Italia, non è neppure così facile trovare.
Molte mie colleghe e amiche, anche loro mamme, stanno infatti rimandando il momento in cui realizzeranno ciò per cui hanno studiato e per il quale si sono formate per tanti anni, ovvero fare la medica di famiglia e questo proprio per la paura della responsabilità che comporta ricoprire un ruolo di questo tipo.
Io invece quest’anno ho partorito e meno di un mese dopo ho aperto le porte del mio ambulatorio e devo dire che fino ad ora (mia figlia Martina compie 10 mesi domani) sono riuscita a destreggiarmi abbastanza bene in questa nuova quotidianità. Se ci sono riuscita è sicuramente grazie ad una buona organizzazione fatta di nonni e di baby-sitter ed ora dell’asilo nido. Mio marito è un ingegnere e oltre ai quattro giorni di congedo di paternità non ha potuto assentarsi dal suo lavoro; se lo avesse fatto in azienda avrebbero bloccato la sua carriera.
Sull’asilo nido apro una parentesi. Martina frequenta da settembre un asilo nido comunale proprio dietro casa nostra. Mi è stato spiegato che siamo riuscite ad avere il posto all’asilo nido perché nella nostra Regione si è registrato negli ultimi due anni un calo impressionante della natalità e, al contempo, è aumentata la disoccupazione femminile. Noi dobbiamo quindi ritenerci fortunate, ma riflettere sul motivo che si cela dietro a questa nostra fortuna è davvero molto molto triste…
Non pensiamo poi alla situazione di quelle colleghe che lavorano come mediche di famiglia in paesini di pochi abitanti dove l’asilo nido magari nemmeno esiste.
Ad ogni modo, l’organizzazione è assolutamente fondamentale per qualsiasi mamma che lavora e che al giorno d’oggi deve destreggiarsi tra le proprie responsabilità professionali, quali ad esempio, come ho già evidenziato, quelle di una medica che ricopre un pubblico servizio, e le proprie responsabilità genitoriali, dovendo per forza ricercare l’aiuto dei mariti, che sono però spesso costretti a grosse rinunce per conservare il proprio posto di lavoro, dei nonni, che però in molti casi non hanno ancora raggiunto i requisiti per la pensione, e degli asili nido, che in alcuni casi mancano o sono troppo lontani.
Ciò che io e che le mie colleghe auspichiamo quindi per il futuro è che ci sia innanzitutto un cambiamento di mentalità nel nostro Paese e che venga finalmente considerato un diritto anche per le donne, e non solo per gli uomini, il potersi realizzare professionalmente senza dover rinunciare ad essere genitori.
Per quanto riguarda le professioniste del nostro Sistema Sanitario Nazionale, anche considerando il continuo aumento della percentuale di donne laureate in Medicina e Chirurgia rispetto agli uomini, questo cambiamento non è più rimandabile e, contestualmente, non è più rimandabile una ulteriore revisione delle politiche a sostegno della genitorialità, intese come tutele per la famiglia nel suo complesso, tutele ovviamente per le mamme, tutele per i papà, paradossalmente più discriminati delle colleghe donne nella decisione di assentarsi temporaneamente dal lavoro ove ciò gli sia possibile, e tutele anche per i nostri preziosi nonni, spesso ancora lavoratori anche loro.
Autore: Redazione