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47° Rapporto Censis: le criticità legate a sistema di welfare e Mezzogiorno

Dal 47° Rapporto Censis 2013 riportiamo quelle che sono due criticità: la prima riguarda il sistema di welfare, la seconda il Mezzogiorno. Eccole.

Il capitolo «Il sistema di welfare»

L’empowerment degli operatori fa la buona sanità. Nella tensione alla razionalizzazione del servizio sanitario, una nuova attenzione sta maturando per l’analisi e la promozione di tutti i fattori che, all’interno dei servizi e delle organizzazioni sanitarie, possono impattare positivamente sul benessere e il clima organizzativo. Dalle diverse indagini che analizzano l’empowermet degli operatori sanitari, tra cui la recente sperimentazione Agenas-Censis, emergono alcuni elementi ricorrenti. Gli aspetti del clima organizzativo definiti più positivamente dagli operatori risultano quelli che attengono al rapporto con i pazienti (per il 98,5% di quanti si ritengono soddisfatti) e i loro familiari (93,9%), ma nelle relazioni con i colleghi e soprattutto con i superiori emergono le criticità legate alla mancata corrispondenza tra impegno, risultato e riconoscimento.

La spesa farmaceutica nella crisi del Ssn. La progressiva riduzione della spesa farmaceutica territoriale totale, pubblica e privata, ha fatto registrare in Italia nel 2012 un totale di 19.389 milioni di euro, con una riduzione rispetto al 2008 di -1,9% e di -5,6% rispetto all’anno precedente. A fronte della riduzione costante della spesa pubblica, diminuita in termini nominali in un solo anno dell’8%, la spesa privata fa registrare un andamento opposto di crescita costante (dal 2008 al 2012 +12,3%), in particolare la spesa per ticket sui farmaci (aumentata del 117,3% dal 2008 al 2012), che nell’ultimo anno ha raggiunto la quota di 1,4 miliardi di euro. Diminuisce pertanto la quota di spesa coperta dal Ssn, che è passata dal 65,9% del 2008 al 61% del 2012. Non stupisce quindi che a questi dati strutturali corrisponda la sensazione espressa dalla maggioranza dei cittadini che la spesa di tasca propria per l’acquisto dei farmaci, sia essa legata al pagamento dei ticket, che per il pagamento eventuale della differenza di prezzo per i farmaci con marchio, sia per quelli a pagamento intero, sia aumentata.

Finanziare e impiegare meglio le risorse, vera priorità del welfare. La spesa pubblica per la protezione sociale in Italia è pari a quasi il 30% del Prodotto interno lordo e in rapporto al Pil nel periodo di crisi è cresciuta di 3,2 punti percentuali. Il dato poco riflette la limatura progressiva della spesa pubblica per il welfare che sta impattando seriamente sui bilanci delle famiglie. Da un’indagine realizzata dal Censis si evidenzia infatti che il 27% degli intervistati dichiara che gli è capitato di dover pagare un ticket su una prestazione sanitaria superiore al costo che avrebbe sostenuto se avesse acquistato la prestazione nel privato pagando il costo per intero di tasca propria. Cresce quindi il ricorso al privato e all’intramoenia. Le prestazioni svolte più frequentemente in strutture private a pagamento intero riguardano: l’odontoiatria, con quasi il 90% dei cittadini che vi ha svolto estrazioni dentarie semplici, con anestesia; la ginecologia (57%); la riabilitazione motoria in motuleso semplice (36%); le visite ortopediche (34,4%). Il 38% degli italiani ha aumentato negli ultimi anni il ricorso al privato per la riabilitazione motoria, oltre il 35% per la colonscopia, il 34% per le visite ortopediche; per l’intramoenia invece il 23,3% degli intervistati ha aumentato il ricorso per la riabilitazione motoria, oltre il 17% per l’ecografia all’addome completo, il 16,7% per le visite ortopediche. gli italiani giudicano negativamente le manovre di finanza pubblica sulla sanità, non solo perché hanno tagliato i servizi e ridotto la qualità (61%), o perché hanno accentuato le differenze di copertura tra regioni, ceti sociali (73%), ma perché hanno puntato troppo sui tagli e poco sulla ricerca di nuove fonti di finanziamento, dai fondi sanitari alle polizze malattie (67%).

Centralità delle reti di relazioni e rischi di erosione. L’incremento delle persone che vivono sole rischia di scardinare l’organizzazione del sistema di welfare italiano, che tende a internalizzare nelle famiglie, sia pure allargate, le risposte ad una molteplicità di bisogni sociali. Le persone che vivono sole sono oltre 7,5 milioni, pari al 14,5% della popolazione da 15 anni in poi; di queste, quasi 2 milioni hanno tra 15 e 45 anni, pari all’8,2% di questa classe di età (in aumento rispetto al 2002 del 31%), poco più di 2 milioni hanno tra 45 e 64 anni, pari al 12,2% (+71%) e oltre 3,6 milioni sono anziani, pari al 29,5% (+24,8%). Rispetto al 2002 si registra un aumento del 36,6%, pari a quasi 2 milioni di persone in più. Piace vivere da soli a oltre l’83% degli intervistati con età fino a 34 anni, al 69% degli adulti fino a 54 anni, a meno di un quarto tra i 55-64enni e a meno del 16% tra i longevi. Vivere da soli è una condizione che proietta verso l’esterno una domanda di relazionalità e di tutela, e che richiede l’integrazione di una efficace rete di relazioni. Così, le istituzioni non profit nel nostro Paese al 2011 sono 301.191, con un incremento di quasi 66.000 unità, pari a +28% rispetto al 2001; nel complesso vi operano 5,7 milioni di persone, di cui 4.759.000 volontari, quasi 681.000 dipendenti, 270.769 lavoratori esterni (collaboratori a progetto, con contratto occasionale, con contratto occasionale di tipo accessorio) e 5.544 lavoratori temporanei. Rispetto al 2001 si registrano dinamiche di crescita significative: i volontari sono aumentati del 43,5%, i dipendenti del 39,4%, i lavoratori esterni del 169,4% e i temporanei del 48%.

Previdenza complementare e sanità integrativa, queste semisconosciute. Esiste un buco nero informativo e di conoscenza molto ampio per i filoni di welfare che dovrebbero potenzialmente affiancare il pilastro pubblico, dalla sanità integrativa (che oggi conta oltre 11 milioni di assistiti) alla previdenza complementare (con oltre 6 milioni di iscritti). Da un’indagine del Censis emerge che il 33,6% degli intervistati non ha mai sentito parlare di fondi sanitari integrativi e polizze malattia, e un ulteriore 34,9%, pur avendone sentito parlare, non sa esattamente cosa siano. Più del 53% dichiara di non conoscere le differenze tra un fondo sanitario integrativo e una polizza malattia, e oltre il 57% non è a conoscenza del fatto che i fondi sanitari integrativi garantiscono un vantaggio fiscale rispetto alle polizze malattia. Anche per la previdenza complementare, da un’indagine Censis-Covip su un ampio campione nazionale di lavoratori emerge una ridotta conoscenza di aspetti essenziali: il 35% degli intervistati dichiara di non conoscere il rapporto tra i benefici fiscali della previdenza complementare e quelli relativi ad altre forme di investimento; il 33% non è informato sui parametri per la rivalutazione dei contributi versati; oltre il 16% non sa della possibilità o meno di disporre in tutto o in parte del capitale prima del pensionamento. All’esercito degli estranei alla previdenza complementare va aggiunto quello dei lavoratori che hanno conoscenza errata; in totale sono 16 milioni i lavoratori italiani che di fatto non conoscono o conoscono male la previdenza complementare.

Meridione: problema irrisolto.
L’incidenza del Pil del Mezzogiorno su quello nazionale è passata dal 24,3% al 23,4% nel periodo 2007-2012, frutto di una contrazione di 41 miliardi di euro, il 36% dei 113 miliardi persi dall’Italia a causa della crisi economica. Nel 2013 si contano 39.500 imprese in meno rispetto al 2009, tra cui 9.900 scomparse nel manifatturiero. Il tasso di occupazione è al 42,1% nel secondo trimestre del 2013, a fronte del 55,7% nazionale, e il tasso di disoccupazione sfiora il 20% (8 punti in più rispetto alla media del Paese). La ricchezza pro-capite è pari al 57% di quella del Centro-Nord e le famiglie materialmente povere (cioè con difficoltà oggettive ad affrontare spese essenziali o impossibilitate ad affrontare tali spese per mancanza di denaro) è pari al 26% di quelle residenti nel Mezzogiorno, a fronte di una media nazionale del 15,7%. L’Italia appare tra i sistemi dell’eurozona quello in cui più rilevanti sono le disuguaglianze territoriali. In termini di Pil pro-capite il Centro-Nord, con 31.124 euro per abitante, è vicino ai valori dei Paesi più ricchi come la Germania, dove il Pil pro-capite è di 31.703 euro. Viceversa, i livelli del Mezzogiorno sono più vicini o inferiori a quelli della Grecia (il Sud ha meno di 18.000 euro per abitanti e la Grecia registra 18.500 euro di Pil pro-capite).

Autore: Redazione FNOMCeO

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