Intervista a Gianni Donigaglia

Intervista a Gianni Donigaglia, vicepresidente ANSPI

Qual è il ruolo del medico di famiglia in una piccola isola?

Bisogna, innanzitutto, distinguere i contesti in cui il medico è chiamato ad operare.
Ci sono, in Italia, isole grandi. All’Elba, dove io vivo e lavoro, siamo ventiquattro medici di famiglia; e ci sono isole minuscole, come alcune delle Eolie, Le Tremiti, Ventotene, in cui c’è un solo medico: non inteso come medico di famiglia, proprio uno e basta!
È evidente che anche il tipo di lavoro è diverso: nelle isole di dimensioni maggiori è simile a quello delle piccole città continentali.
Ma dove esiste un solo medico – nella mia Toscana, ad esempio, accade a Capraia – questi dovrà ricoprire tutti i ruoli: non solo quello di medico di medicina generale, quindi, ma anche della continuità assistenziale e delle emergenze, ovvero le tre facce della medicina del territorio. Tale medico sarà poi chiamato, in alcuni casi, a occuparsi anche della dispensazione dei farmaci e della vigilanza sanitaria. Quando il medico è unico, è difficile inquadrarlo nei ruoli standard, anche da un punto di vista contrattuale.

E questa non sarà l’unica  difficoltà incontrata da un medico così “di frontiera”, non solo in senso geografico…

Il problema vero dei medici delle isole minori è, facendo un gioco di parole, proprio quello dell’”isolamento” dal punto di vista professionale.
Se un sanitario lavora da solo – lontano dal confronto con i colleghi, senza possibilità di accedere alle eccellenze sanitarie e affrontando eventi e patologie che, a forza di ripresentarsi identiche, diventano anch’esse routine – la  sua professionalità stenta a crescere nel tempo. Va colmato questo gap di collegamenti, permettendo un turnover sia per l’aggiornamento sia per il confronto con realtà diverse.  

Quali strategie di comunicazione deve adottare il medico isolano per far sentire al paziente che si ha un’identità comune?

La comunicazione con il paziente è senz’altro facilitata: lo stare su un’isola favorisce quel senso di appartenenza, quell’”insulanità” che è la caratteristica di chi vive in questi territori. Ciò coinvolge tutto il mondo dei servizi sanitari. Il rapporto medico – paziente è qui molto stretto, fiduciario, forse persino più autentico che altrove.
La scelta del medico di famiglia non viene fatta solo su un piano professionale o di vicinanza, ma su un livello più personale, che coinvolge i contesti sociali, lavorativi, umani. Anche la relazione di cura va oltre il normale rapporto. Il medico vede i suoi pazienti nascere, soffrire, morire, e non può non lasciarsi coinvolgere. Ogni volta che perdo un paziente è un pezzo di storia – anche personale – che se ne va.

Quali sono i punti di criticità dell’assistenza territoriale in queste realtà?

L’assistenza territoriale è tutta da costruire, non solo nelle isole, ma ovunque nel nostro Paese.
In Italia, dove da almeno cento anni è radicato il concetto che la sanità buona è solo nell’ospedale, è complesso attribuire un’identità forte al Territorio. Bisogna rivedere il sistema in maniera radicale, rivisitando ruoli e competenze. Vanno create strutture ad hoc perché questa nuova forma di assistenza si attui; vanno disegnati ruoli e attribuite  funzioni ulteriori a quei Distretti che devono governare i servizi delle cure primarie.

Nelle isole più piccole, dove da sempre esiste da un punto di vista sanitario solo il territorio, la questione dovrebbe essere più facile…

Da un lato è vero, ma in generale il problema è ancora più complesso. Non si tratta solo di rafforzare i servizi già esistenti sul territorio: il punto è creare un sistema integrato che metta il cittadino in condizione di fruire, ovunque si trovi – sulle isole o sulla terraferma – dello stesso livello di assistenza.
E ciò non si può attuare solo potenziando la rete dei trasporti, ma con l’integrazione tra le diverse professionalità e le varie strutture. L’ospedale deve “uscire dalle mura” e calarsi sul territorio. Ciò è possibile anche utilizzando strumenti come la Telemedicina e l’Elisoccorso.
È questa, a mio avviso, la strategia vincente. Ma, per attuarla, occorrono risorse e investimenti, non solo economici, ma soprattutto professionali, e di idee. 

Autore: Redazione FNOMCeO

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