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La sottile linea rossa tra libera concorrenza e diritto alla salute

Si dice che la pubblicità sia l’anima del commercio. Ma è possibile e giusto applicare tout court le regole del commercio quando è in gioco il Diritto alla Salute dei cittadini? Da sempre la risposta della Cao nazionale è una e una sola: un “no” netto e determinato. In vista del Seminario nazionale che a Verona – al Circolo Ufficiali di Castelvecchio il 23 e 24 settembre – farà il punto su tutte le questioni aperte intorno al Procedimento disciplinare, l’Ufficio Stampa ha voluto fare una riflessione su uno degli argomenti più dibattuti: la pubblicità sanitaria. E lo ha fatto, con un occhio anche al contesto europeo, insieme a Sandro‎ Sanvenero, Segretario della Cao Nazionale, Presidente Cao di La Spezia e past president FEDACAR (Federation of European Dental Competent Authorities and Regulators), l’organizzazione che raggruppa tutti gli Ordini d’Europa competenti per la professione odontoiatrica.

Presidente Sanvenero, lei ha più volte affermato che la locuzione “pubblicità sanitaria” è un ossimoro… può spiegarci meglio?

Ci vuole cautela a traslare le regole del commercio nella sanità. E ci dovrebbe essere particolare cautela anche nell’effettuare la “pubblicità”, che del commercio è l’anima, per “vendere” salute. Non a caso, nel nostro Codice di Deontologia medica, si usano i termini “informazione sanitaria” e “pubblicità informativa sanitaria”. Quest’ultima, in particolare, deve “sempre essere veritiera, corretta e funzionale all’oggetto dell’informazione, mai equivoca, ingannevole e denigratoria”.

Quando si parla di Salute, infatti, c’è, per forza di cose, un’asimmetria informativa tra il soggetto emittente la comunicazione – un professionista, uno studio medico, uno scienziato, un “esperto” … – e l’utente finale, il cittadino-paziente. Noi, come Ordini, abbiamo per legge il compito di contribuire alla tutela del cittadino-consumatore nel suo diritto alla Salute, e lo affermiamo con forza nei principi del nostro Codice Deontologico. A maggior ragione, il Legislatore dovrebbe prevedere un impianto normativo che sovraintenda e tuteli il consumatore in campo sanitario.

Crede che ci siano dei gap, delle zone d’ombra nella legislazione attuale? Gli Ordini non hanno pieno potere di intervento sui loro iscritti?

Sugli iscritti sì, ovviamente nell’ambito e nella direzione della normativa vigente. Ma è vero, c’è un gap. Le spiego: i professionisti, così come le STP, per esercitare, devono essere iscritti agli Albi e quindi sottoposti al loro controllo, a garanzia della Salute dei cittadini. Al mondo sanitario, e odontoiatrico in particolare, afferiscono però, con varie modalità, una molteplicità di soggetti, catene di franchising, società commerciali, senza arrivare ai casi, da codice penale, di abusivi e ciarlatani. Su tutti questi soggetti, che agiscono palesemente nell’illegalità o in maniera più sfumata e border line, approfittando delle zone d’ombra della normativa, l’Ordine non ha alcun controllo. In questo contesto, non mi stupirei se domani uno di questi soggetti si mettesse a pubblicizzare una nuova cura Stamina o Di Bella. Chi potrebbe intervenire a fermarli? Il giudice penale? Certo: ma solo dopo la morte di qualche paziente. E nel frattempo?

Mi scusi, in Italia c’è un’authority che dovrebbe controllare e fermare la pubblicità ingannevole…

Certamente: questo è il ruolo dell’Antitrust, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, che pare appunto sempre pronta a tutelare la libera concorrenza e le regole mercantilistiche, un po’ meno celere a fermare l’informazione ingannevole e antiscientifica.

Ci può portare un caso specifico?

La giurisprudenza è chiara: la Corte di Cassazione [Cassazione Civile Sez. VI, Ord., 19-08-2011, n° 17417, n.d.r.] ha stabilito che una pubblicità sanitaria è veritiera se quanto viene affermato è validato dal punto di vista scientifico, altrimenti è ingannevole.

A partire da questo assunto, il 10 luglio 2015 abbiamo fatto partire un esposto all’Antitrust, segnalando il sito www.parodontite.it che, diffondendo – con il pretesto di informare – messaggi ingannevoli su questa patologia, reclamizzava una serie di servizi commerciali. E che i messaggi fossero ingannevoli e falsi non lo dicevamo solo noi. Abbiamo innanzitutto allegato all’esposto un parere della Società Italiana di Parodontologia e Implantologia, una delle più autorevoli società scientifiche in questo campo, che nelle considerazioni conclusive afferma testualmente: “è importante sottolineare come questo sito nella sua globalità tende a presentare come moderno e innovativo un approccio assolutamente non validato dalla ricerca scientifica. Il protocollo diagnostico-terapeutico proposto è basato sull’applicazione di tecnologie falsamente presentate e percepite dal paziente come di punta e pertanto vantaggiose rispetto alle metodiche convenzionali. È evidente il tentativo di creare nei potenziali pazienti eccessive aspettative basate sull’equivoco che la tecnologia sia sempre e in ogni caso utile, senza una reale valutazione del rapporto costo/beneficio”.

Ma non basta. Sempre all’esposto abbiamo allegato il parere del Collegio dei Docenti di discipline Odontostomatologiche – Consulta scientifica che conferma come alcune affermazioni riportate sul  sito www.parodontite.it non appaiano supportate da evidenza scientifica. Su queste basi, abbiamo chiesto all’Autorità “l’apertura di una formale indagine volta a verificare l’ingannevolezza del messaggio pubblicitario, adottando altresì, con provvedimento cautelare, ogni misura ritenuta idonea ad impedire il procrastinarsi del danno che deriva anche alla Salute dei Consumatori”.

Con quali risultati?

Ad oggi, dall’Antitrust non abbiamo ricevuto nessuna risposta. Intanto il sito viene costantemente aggiornato, gli spot continuano ad andare in onda sulle emittenti radio, con il rischio che sempre più cittadini siano attirati da queste tecniche senza fondamenti scientifici e di appropriatezza.

Ma l’Ordine non può in alcun modo intervenire direttamente?

Purtroppo più di questo non possiamo fare: abbiamo le mani legate. Il sito fa capo a Excellence Dental Network (Edn – i professionisti della parodontite), un’associazione commerciale che non è iscritta ad alcun Albo, né riconducibile in alcun modo a nostri iscritti. Per noi EDN è poco più di un fantasma: e non si può sanzionare un fantasma.

E, le ripeto, questo succede con la parodontite, patologia già di per sé grave e che può avere ricadute sistemiche, ad esempio a livello cardiovascolare. Ma se, un domani, una di questa società fantasma pubblicizzasse la cura, che so, per il carcinoma orale, sarebbe esattamente la stessa cosa.

La denuncia della Cao è chiara: ci sono delle falle evidenti nel sistema di protezione dei cittadini (sotto altra prospettiva, consumatori) se una pubblicità (non veritiera) viene effettuata da una società, che magari non possiede neanche un Direttore Sanitario. Qui siamo nella terra di nessuno. E, se si parla di Salute, noi non tolleriamo che esistano queste zone franche, in cui chiunque può causare un danno senza essere fermato o sanzionato.

E come porvi rimedio, allora?

Due le strade possibili. O si obbliga chiunque svolge un’attività in campo medico e odontoiatrico a iscriversi all’Ordine di competenza, anche queste associazioni. Oppure si allargano le facoltà della Commissioni Medici e Odontoiatri della Fnomceo.

Ci può anticipare qualcosa?

Non voglio sovrappormi alla sovranità dell’Assemblea: le proposte vere e proprie usciranno a Verona, e saranno poi portate all’attenzione del Comitato Centrale.

Questi sono casi eclatanti. Secondo alcuni, però, già a partire dalla Legge Bersani e forse ancora prima, l’Ordine ha perso un po’ della sua incisività anche sul controllo ordinario della veridicità e trasparenza dell’informazione sanitaria.

Come si inquadra la normativa italiana in quella europea, che parrebbe più libertaria quando si parla di concorrenza?

Questo non è assolutamente vero: anche la Corte di Giustizia europea ha sentenziato che non è contraria ai Trattati europei una norma interna di uno degli Stati membri che vieti la pubblicità sanitaria, purché il divieto sia proporzionato (smentendo, palesemente, l’incipit della legge Bersani). A partire, anche, da questa sentenza, alcuni Omceo avevano espresso l’intenzione di avanzare eccezione di incostituzionalità in merito alla Legge Bersani, che nella premessa afferma invece il contrario. Senza polemica, ma con spirito costruttivo e nel rispetto del ruolo di indirizzo e coordinamento, chiediamo: che destino hanno avuto queste proposte, sostenute anche da pareri legali? Sono state portate avanti? Sono rimaste nel limbo delle buone intenzioni o hanno ottenuto qualche  risultato? Se anche l’Europa ha compreso che la Salute è cosa diversa dal mercato, noi non possiamo restare indietro.

A cura dell’Ufficio Stampa Fnomceo

Autore: Redazione FNOMCeO

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