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Gli Esiti come strumento di equità nella salute. Intervista a Marina Davoli – Dep Lazio – Programma Esiti

Si chiama Programma Nazionale Esiti (PNE), è portato avanti da Agenas per conto del Ministero della Salute ed è uno degli strumenti che il nostro Servizio Sanitario Nazionale mette in campo per aumentare l’equità e ridurre le disuguaglianze di salute. Valutando, con studi epidemiologici osservazionali, gli esiti degli interventi sanitari, il Programma è – tra l’altro – in grado di fornire indicazioni aggiornate sulle disuguaglianze nell’accesso alle cure nelle diverse fasce di popolazione, rendendo possibili comparazioni per distribuzione geografica, per genere e per età. L’analisi, per posizione socio – economica e livello di istruzione non è ancora possibile a livello nazionale a causa della ridotta validità di queste informazioni, ma è possibile all’interno dei Programmi Regionali Di Valutazione di Esito, come ad esempio il PReValE, sviluppato nella Regione Lazio e attivo da dieci anni.  Lo abbiamo appreso nei dettagli a Reggio Emilia, nel corso del Convegno “La Salute Disuguale e le risposte dei servizi sanitari”: a illustrarci le potenzialità dei Programmi di valutazione di esito e del loro utilizzo, come promotori di equità, è stata Marina Davoli, Direttore del Dipartimento di Epidemiologia del servizio Sanitario della Regione Lazio, responsabile del Programma di Valutazione del Lazio e del Centro Operativo per lo sviluppo di PNE.
Ora, a pochi giorni dall’incontro, abbiamo voluto approfondire insieme a lei questo interessante argomento.

Dottoressa Davoli, quali sono i determinanti delle disuguaglianze di salute?
Le diseguaglianze di salute sono determinate dalla diversa esposizione delle fasce di popolazione e dalla differente suscettibilità degli individui ai fattori di rischio per l’incidenza delle patologie in esame.  È evidente come a un livello socio-economico più svantaggiato corrisponda in genere una maggior esposizione a fattori di rischio individuali e ambientali. Il Servizio Sanitario Nazionale sembrerebbe poter rivestire un ruolo importante di calmieratore di queste disuguaglianze, diminuendo il gap e garantendo l’accesso alle cure e alla prevenzione alle fasce più svantaggiate. Di fatto, invece, si verifica proprio il contrario: l’accesso alle prestazioni efficaci è più difficile per le fasce di popolazione svantaggiate, che a loro volta sono più vulnerabili e hanno con maggior probabilità di accesso a prestazioni inappropriate.

Come è possibile?

Ci sono senz’altro dei problemi legati alle conoscenze e alle competenze individuali, associati a livelli di istruzione più bassi. Quello su cui stiamo lavorando è proprio questo: capire in che modo e misurare quanto un sistema che si pone come obiettivo quello di garantire a tutta la popolazione pari accesso alle cure efficaci possa riuscire a ridurre questo gap, riappropriandosi di quel ruolo di calmieratore che gli spetta.

Porto l’esempio della Regione Lazio e il caso della tempestività di intervento chirurgico per frattura del femore, vero e proprio intervento salva vita. Nel 2010, nel Lazio, solo una persona su dieci tra gli over 65 che non avevano titoli di studio o avevano un titolo di studio elementare veniva operato entro due giorni per la frattura del femore; tra i laureati, questa proporzione era già molto più alta, uno su tre. Nel 2016, quindi dopo cinque anni, si è osservato un incremento maggiore nella fascia con un livello di istruzione più basso, che è passata dal 10 al 50%, e un incremento molto minore – dal 30 al 60% – nella fascia dei laureati, quindi, sebbene siamo ancora lontani dagli standard del resto d’Europa, il gap esiste ancora, ma in parte si è colmato. Ancora più evidente è l’effetto sulla equità di accesso all’angioplastica primaria nei pazienti con STEMI.

Ci può essere un ruolo per il medico di famiglia in questo processo di empowerment dei pazienti?
Certamente, il medico di famiglia può avere un ruolo importante, data la sua prossimità ai pazienti. In primo luogo, può informare il paziente sui diritti che gli sono garantiti, in termini di accesso ad interventi di provata efficacia, in modo che il cittadino, arricchito nelle sue conoscenze e competenze, possa esigere questi diritti quando si rivolgerà alle strutture che dovranno erogarli le cure e le prestazioni.
Sul versante della prevenzione, il medico di famiglia può fare molto in termini di riduzione  dei fattori di rischio: penso al counseling sul fumo di sigaretta, indirizzato a tutti i fumatori che, si è visto dai dati epidemiologici, sono in aumento soprattutto nelle fasce più svantaggiate; o a quello sulla corretta alimentazione, dato che la dieta quotidiana risente della minore disponibilità economica delle famiglie, portandole a scegliere cibi meno ricchi di nutrienti di qualità solo perché apparentemente meno costosi.

E per i medici ospedalieri?
I medici ospedalieri dovrebbero essere i primi a rivendicare per i loro pazienti e per le loro strutture l’appropriatezza delle cure: dovrebbero essere i primi a pretendere di essere messi nelle condizioni di eseguire un intervento nei tempi ottimali, di poter rispettare i gold standard. Invece, troppe volte abbiamo visto cambiare in meglio i comportamenti clinici solo dopo un pesante intervento regolatorio e sanzionatorio. È il professionista che sempre più deve porsi come advocate, rivendicando le condizioni organizzative che gli consentano di curare nel miglior modo possibile.

Spesso, però, le organizzazioni non vanno esattamente in questo senso: pensiamo ai ‘tempari’, che contingentano la durata di una prestazione…
In effetti l’imposizione rigida dei tempari è nemica dell’appropriatezza, così come l’eccessiva inflessibilità nell’applicazione di tutta una serie di criteri che ingabbiano il medico e che non sempre hanno come obiettivo ultimo il benessere del paziente, quanto piuttosto il tutelarsi di fronte a un’eventuale denuncia o alla Legge.

Come procederà il programma esiti?
Il programma viene pubblicato annualmente, nel 2017 saranno pubblicati i risultati del 2016 e così via. È portato avanti da Agenas per conto del Ministero della Salute e il nostro Dipartimento è il centro operativo. Gli sviluppi ulteriori sono fortemente dipendenti dalla disponibilità e qualità dei dati dei sistemi informativi sanitari, purtroppo spesso insufficienti per stare al passo con le veloci trasformazioni tecnologiche ed organizzative dei sistemi sanitari. Nell’ambito delle diverse attività e sviluppi di PNE mi preme ricordare che, in collaborazione con la Fnomceo e l’Ipasvi abbiamo anche sviluppato con Zadig, alcuni corsi Fad sulla piattaforma Fadinmed, che sono stati tra quelli con più partecipanti: tra medici e infermieri gli accessi sono stati più di cinquantamila a corso. Questo dimostra l’importanza del progetto per diffondere anche tra i professionisti della sanità la cultura della valutazione degli esiti.

Autore: Redazione FNOMCeO

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