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Luigi Arru: con la conciliazione, più dialogo tra medico e paziente

Riflettori accesi su Como, in vista del Workshop “Mediazione e responsabilità medica”, che, il 29 e 30 aprile, vedrà i medici vestire i panni ancora inediti – ma che d’ora in poi diventeranno usuali – dei conciliatori.

Proprio la simulazione pratica di un tentativo di conciliazione su un caso di colpa medica aprirà i lavori, il pomeriggio del 29. E a ricoprire il ruolo del mediatore sarà chiamato Luigi Arru, presidente dell’OMCeO di Nuoro, esperto di risk management, nonché mediatore anche nella realtà, dopo aver frequentato il Corso della Scuola Superiore S. Anna di Pisa, realizzato in collaborazione con l’Università degli studi di Firenze.

A lui l’Ufficio Stampa ha voluto dunque affidare anche il compito di aprire il “Viaggio dentro la Conciliazione”, cominciando proprio dagli effetti benefici che la nuova normativa potrà avere sulla gestione del rischio clinico, sul rapporto tra medico e paziente, e sulla riduzione del fenomeno della “medicina difensiva”. Presto, ai nostri microfoni,anche il presidente dell’OMCeO ospite, Gianluigi Spata, che ci traghetterà nel vivo del Workshop.

Presidente, a Como lei vestirà, nella simulazione di un caso di Conciliazione in ambito sanitario, i panni del “mediatore”. Personalmente, quali caratteristiche e quale background professionale dovrebbe possedere un medico che voglia proporsi per tale ruolo?
La mediazione richiede prima di tutto la disposizione personale ad apprendere un modo nuovo di vivere il conflitto. La conciliazione, infatti, usa strumenti differenti dalla causa di tribunale, mirando a comporre i conflitti con il raggiungimento di un accordo che emerga spontaneamente tra le parti. Innanzitutto, è fondamentale la comprensione del meccanismo del conflitto, la cosiddetta escalation, con la tendenza a sovrapporre, sino a confonderli, il problema alla base del contenzioso con le persone interessate. Il rischio è quello di sbagliare obiettivo: mirare a “sconfiggere l’avversario”, anziché a risolvere il problema.
Il mediatore invece, soprattutto nella mediazione facilitativa, non è un giudice, non ha il compito di stabilire il torto o ragione. È per questo che la mediazione, al di là della mera applicazione della normativa, richiede un salto culturale, non solo del singolo ma di tutta la società.

E che tipo di percorso formativo dovrebbe intraprendere?
Il mediatore deve formarsi, secondo quanto richiesto dal Decreto Legislativo 28/2010, frequentando un corso di almeno 52 ore, presso un istituzione che abbia i requisiti richiesti, vale a dire: personale docente che abbia maturato un’ esperienza culturale nella ricerca e insegnamento nel campo della mediazione o delle ADR (Alternative Dispute Resolution) e un’esperienza pratica, con almeno tre precedenti mediazioni.
Il corso che ho personalmente frequentato, organizzato dalla Scuola Sant’Anna di Pisa in collaborazione con l’Università di Firenze, ad esempio, prevedeva una parte teorica formativa sulla legge e sugli aspetti procedurali, una parte di “full immersion” intensiva sull’acquisizione delle tecniche di mediazione tramite simulazione e, infine, una prova di valutazione teorico – pratica finale.
Il “fiorire” di cause civili verso i medici per presunti errori clinici ha portato al fenomeno della “medicina difensiva”, per cui i sanitari iper-prescrivono esami, indagini, visite specialistiche, non perché indispensabili al paziente, ma principalmente per ridurre il rischio di esposizione a un giudizio di responsabilità per malpractice. Il ricorso alla Conciliazione, riducendo il contenzioso, farà diminuire anche tale trend? Com’è la situazione in altri paesi europei, in cui la Conciliazione in ambito medico è una realtà consolidata?
La mediazione non è la panacea per tutti i problemi, ma sicuramente è uno strumento utile per la relazione medico – paziente, perché permette di migliorare la comunicazione, l’ascolto empatico. Le esperienze antecedenti al Decreto Legislativo 28/2010 hanno dimostrato che la mediazione, quale strumento per il ripristino della comunicazione, rappresenta una via per prevenire il contenzioso. E ciò perché è un potente mezzo per implementare il dialogo. Molto spesso, la parte danneggiata rinuncia alla richiesta del risarcimento perché si ritiene soddisfatta già per aver avuto la possibilità di esprimersi, chiarire i suoi problemi, essere ascoltato.
Nei paesi Scandinavi viene favorita la soluzione amministrativa, perché è più rapida, meno dispendiosa economicamente e umanamente, supera il modello della colpevolizzazione del medico, e ben si integra nella “just Culture” della sicurezza del paziente, favorendo la segnalazione dell’errore e l’apprendimento dall’errore stesso.

In che modo gli effetti positivi si ripercuoteranno anche sulla relazione di cura?
Secondo alcuni studi sul contenzioso in Medicina, oltre il cinquanta per cento dei conflitti nasce da un problema di comunicazione. La mediazione rappresenta uno strumento per rivitalizzare il dialogo, l’ascolto.
Allo stesso tempo, pensiamo all’utilità che potrà avere nella gestione del rischio clinico. Nel percorso formativo al risk management, una delle materie fondamentali è quella delle cosiddette “Competenze Non tecniche (No Technical Skills). E, tra queste abilità, una delle più importanti è proprio quella della comunicazione.

E quali saranno, invece, i vantaggi per un paziente realmente danneggiato, che ha dunque diritto a ricevere un equo risarcimento?
Nelle procedure extragiudiziarie il cittadino potrà vedere riconosciuto il diritto al giusto risarcimento, evitando il percorso lungo e doloroso del processo. In quest’ambito, inoltre, potrà essere presa in considerazione anche la dimensione dell’ascolto.
E anche la seconda vittima – e cioè il medico – potrà essere aiutata, offrendole l’occasione di partecipare attivamente alla costruzione del dialogo, alla risoluzione del conflitto e al riconoscimento legittimo delle ragioni della parte offesa.

Ci sono altri interventi “sistemici”, oltre all’introduzione della cultura della Conciliazione, che andrebbero suggeriti per spegnere la pratica della “medicina difensiva”?
Personalmente, penso che sarebbe necessario rivedere l’intera area della responsabilità professionale, penale e civile. A questo proposito, è interessante, per esempio, il lavoro svolto dal Professor Forti e dal Professor D’Alessandro del Centro Studi Federico Stella dell’Università Cattolica di Milano. Lavoro che è stato anche presentato in occasione di alcuni convegni della FNOMCeO, tra cui quello di Reggio Calabria sulla Comunicazione sanitaria, giusto un anno fa.

Autore: Redazione FNOMCeO

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