Ha ancora significato uno specifico di genere, sia nei confronti della professione medica e delle sue 137.308 donne, che di altre professioni? È il tema affrontato nell’ultimo incontro dell’Osservatorio FNOMCeO, che in una forma di “audizione partecipata”, ha incontrato le maggiori sigle sindacali firmatarie dei contratti e le colleghe impegnate nelle consulte Enpam.
Le percentuali sottolineano la sempre maggiore presenza femminile tra i camici bianchi. Secondo i dati FNOMCeO 2012, infatti, le donne medico fra i 40 e i 49 anni sono 30mila, il 52% della popolazione medica; fra i 24 e i 39 anni esse sono 40 mila, il 63,2 %; hanno fra i 50 e i 59 anni ben 45mila donne medico, mentre 18 mila sono fra i 60 e i 69, solo 4mila hanno superato i 70 anni (vedi tabella allegata)
In occasione del Convegno “Mercato del lavoro e previdenza: nuovi strumenti di previsione e programmazione” il presidente Maurizio Benato ha detto: “Particolare attenzione va posta alle donne medico: gli orientamenti in questo senso appaiono ancora sfumati nella programmazione sanitaria e completamente assenti nei progetti sindacali, che non hanno ancora assimilato il concetto di genere per superare l’ottica prevalentemente maschile presente nei contratti di lavoro”.
Nelle statistiche generali i contratti a rischio sono maggiormente a carico delle donne italiane lavoratrici (25% versus il 13%). Per ben valutare i tassi di occupazione e il precariato, servono dati disaggregati per genere e generazioni che sono stati richiesti all’Osservatorio lavoro Enpam.
Persistono ancora nelle giovani generazioni differenze significative fra uomini e donne nell’intendere la professione: è emerso, parlando di alto tasso di disoccupazione/sottoccupazione medica e di “precariato stabile”, nella Prima Conferenza Nazionale ANAAO Giovani. In una delle ricerche realizzate, alla domanda “ cosa modificheresti del tuo attuale lavoro?”, le donne medico chiedevano maggiore attenzione alla flessibilità d’orario, mentre i colleghi erano più interessati alla progressione di carriera e alle condizioni di esercizio delle libera professione intramoenia.
Si può ipotizzare che, pur crescendo la presenza femminile nella professione, non crescerà automaticamente la leadership femminile. In una ricerca McKinsey & Company, commissionata da VALORE D 2013 era già stata evidenziato una correlazione molto debole fra la presenza e l’apicalità (link).
Vi sono Paesi come l’Ungheria con un tasso di occupazione femminile simile a quello italiano e una presenza ai vertici quadrupla; altri Paesi (Belgio, Spagna, Irlanda) hanno tassi di occupazione più elevati del nostro e una rappresentanza femminile analoga. La leadership femminile in Italia è molto bassa anche nei settori considerati “più femminili”, come l’istruzione e la sanità.
Nella ricerca si affronta anche il tema della determinazione delle donne: il 34% delle donne europee contro il 26% dei colleghi uomini aspira, già oggi, a una posizione di maggiore leadership. Ma vi sono ostacoli concreti per le donne nel raggiungere le loro aspirazioni: il vero freno agli avanzamenti di carriera delle donne in Italia non sono i figli ma la mancanza di strutture di supporto alla maternità e il doppio carico di lavoro sostenuto lungo tutto il percorso professionale. Occorre, dunque, strutturare un welfare modulato sulle fasi del ciclo di vita delle persone.
Maria Grazia De Marinis, infermiera, professore associato e Presidente del Corso di Laurea in Infermieristica presso l’Università Campus Bio Medico di Roma, nel parlare di cosa accade in una professione quasi totalmente femminile come la sua, dice: "La nostra professione è stata completamente al femminile fino agli anni ’70. Oggi ci accorgiamo che la presenza maschile è molto diffusa nelle posizioni apicali. Sta cambiando il rapporto fra rappresentanza e presenza: vi è una larga parte della popolazione femminile alla base della professione".
Quando il genere subisce una variazione così notevole, nella struttura di una professione cambiano molte cose e il venire meno di un supporto familiare crea l’esigenza di ripensare il modello organizzativo, perché la rete sociale non supporta il lavoro articolato in turni. È stata avviata una riflessione anche sul rapporto con la categoria medica perché il medico, pensato come razionale e tecnologico, è stato in passato vissuto con un rapporto di subordinazione. Ora la crescente presenza femminile nella professione medica potrà far sperimentare rapporti professionali verso complementarietà di genere e di competenze, con una formazione e un lavoro ricco di interprofessionalità.
Antonella Agnello dell’OMCeO di Padova ha affermato: "Noi donne vogliamo farci promotrici di un benessere che sia benessere per tutti, donne, uomini, giovani e famiglie, che sperimenti una nuova organizzazione del lavoro perché la vita non è solo lavoro, per quanto amato, ma anche tempo libero, anche famiglia. Vogliamo che ci sia trasparenza e che siano rispettati i diritti di tutti. Non ci basta essere semplicemente presenti: è importante creare una rete con diversi livelli, operativa sia nello scambio di informazioni sia nell’applicazione dei contratti".
In conclusione, l’intervento di Giovanna Beretta, vicepresidente dell’OMCeO di Varese: "E’ in una dimensione globale che ogni richiesta dovrà essere pensata e formulata: ad esempio la sostituzione obbligatoria delle assenze per maternità dovrà essere vista a beneficio del sistema, consentendo un carico di lavoro ben distribuito, e un’occasione di reale esperienza lavorativa per i più giovani".
Autore: Redazione FNOMCeO