Cassazione Civile Sentenza n. 50681/16 – Responsabilità del medico psichiatra – Non è ravvisabile in capo al medico psichiatra un generico dovere di custodia nei confronti del paziente; soltanto ove vi sia un concreto pericolo che il paziente commetta gesti di autolesionismo, lo psichiatra deve apprestare opportune cautele.
FATTO E DIRITTO: Viene proposto ricorso avverso la sentenza pronunciata ai sensi dell’art. 425 c.p.p.. dal GUP del Tribunale di Avellino che ha assolto P.S. e F.D. dal reato di cui all’art. 591 c.p., comma 3 commesso in danno di C.S., per non avere commesso il fatto. A P., medico in servizio presso il servizio psichiatrico Diagnosi e Cura dell’ospedale (OMISSIS), ove la C. si era volontariamente ricoverata, in quanto affetta da disturbo borderline di personalità ed etilismo cronico, viene fatto carico di avere omesso le cautele volte a prevenire atti di autolesionismo e di attivare adeguati strumenti di tutela e controllo della paziente. A F., responsabile dell’ufficio tecnico dell’ASL, viene rimproverato di avere omesso di provvedere all’immediata sostituzione di una finestra del reparto ove la C. era ricoverata, così consentendo che la donna tentasse la fuga attraverso la finestra priva di grata, cadendo rovinosamente al suolo e procurandosi gravi lesioni. Il GUP sostiene che non è ravvisabile in capo al medico psichiatra un generico dovere di custodia nei confronti del paziente; soltanto ove vi sia un concreto pericolo che il paziente commetta gesti di autolesionismo, lo psichiatra deve apprestare opportune cautele; tuttavia, nel caso in esame, la C. non si era fatta male per avere posto in essere atti di autolesionismo, quanto piuttosto per avere tentato la fuga con modalità spericolate (calandosi con delle lenzuola da una finestra del reparto). La situazione di pericolo sarebbe stata quindi del tutto imprevedibile e non connessa con la patologia da cui la C. era affetta, tenuto conto anche del fatto che ella si era volontariamente ricoverata e che nel passato non aveva mai tentato di fuggire. Non versandosi in un caso di trattamento sanitario obbligatorio, il medico non avrebbe neppure potuto disporre misure coercitive nei confronti della paziente. Il ricorrente Pubblico Ministero, deduce, con il primo motivo, inosservanza ed erronea applicazione della legge penale dolendosi della mancata valutazione, da parte del GUP, dell’esistenza di una posizione di garanzia in capo al medico psichiatra del reparto e censurando il giudizio di imprevedibilità della condotta posta in essere dalla C.. Il ricorso è infondato perché L’elemento soggettivo nel reato di cui all’art. 591 c.p. si configura in termini di dolo generico e consiste nella coscienza di abbandonare a sé stesso il soggetto passivo, che non abbia la capacità di provvedere alle proprie esigenze, in una situazione di pericolo per la sua integrità fisica di cui si abbia l’esatta percezione. Con riguardo alla posizione della dr.ssa P., il ricorrente omette di considerare dati fattuali decisivi menzionati nella sentenza impugnata e richiamati nelle memorie difensive, vale a dire che la C. si era volontariamente ricoverata ed avrebbe dovuto essere dimessa il giorno successivo, che, all’epoca del fatto, non era stata ancora interdetta e che il diario clinico della paziente non conteneva alcuna indicazione dei propositi di suicidio "gridati" al personale infermieristico. Né risulta che il medico fosse al corrente della presenza, in reparto, della finestra rotta. E’ evidente, quindi, che una eventuale responsabilità in capo al medico potrebbe essere costruita esclusivamente in termini colposi, per avere omesso la diligenza richiesta nel valutare la sintomatologia della paziente e la rispondenza alle sue peculiari esigenze dell’ambiente in cui si trovava, quindi estranei alla fattispecie contestata. La Corte di Cassazione rigetta il ricorso).