Condotta prescrittiva inappropriata

Corte dei Conti Lombardia n. 64/16 – Condotta prescrittiva inappropriata –  La Corte dei Conti Lombardia ha affermato che non spetta al medico provare di aver prescritto secondo le note limitative, ma viceversa è l’ASL a dover dimostrare il contrario.

FATTO E DIRITTO: Con atto di citazione depositato il 26 novembre 2015 la Procura regionale conveniva innanzi a questa Sezione il Dott. Silvio B., quale medico di medicina generale in rapporto di convenzione con il Sistema Sanitario Nazionale, per vederlo condannare al risarcimento del danno cagionato all’ASL di Varese e alla Regione Lombardia, pari ad euro 12.956,67 oltre accessori, a seguito della iperprescrizione di farmaci per il periodo 2002-2004. La Procura ha riferito che “…dai dati forniti dall’ASL di Varese è emerso che negli anni in questione il dr. B. Silvio nella prescrizione di farmaci ai propri assistiti si è discostato in maniera significativa e anomala rispetto alla soglia di riferimento”.

Nel merito, la domanda attrice si fonda sull’assunto che il convenuto, medico di medicina generale (MMG) in rapporto di convenzione con il Servizio sanitario nazionale, avrebbe causato all’erario un danno prescrivendo ai propri pazienti farmaci a carico del suddetto SSN in violazione della normativa vigente. La Corte dei Conti Lombardia ha rilevato che “la normativa applicabile è quella che ha posto limiti alle prescrizioni di medicinali. Tra le norme in questione, si rammentano l’art. 1, co. 4, del d.l. 20 giugno 1996 n. 323, convertito in l. 8 agosto 1996 n. 425, con il quale, premesso che la prescrizione dei medicinali rimborsabili a carico del Servizio sanitario nazionale deve essere conforme alle condizioni e alle limitazioni previste dai provvedimenti della Commissione unica del farmaco (CUF, ora AIFA) e che gli appositi moduli del SSN non possono essere utilizzati per medicinali non ammessi a rimborso, si è stabilito che “il medico è tenuto a rimborsare al Servizio sanitario nazionale il farmaco indebitamente prescritto”; l’art. 3 della l. 8 aprile 1998 n. 94, secondo il quale “il medico, nel prescrivere una specialità medicinale o altro medicinale prodotto industrialmente, si attiene alle indicazioni terapeutiche, alle vie e alle modalità di somministrazione previste nell’autorizzazione all’immissione in commercio rilasciata dal Ministero della Sanità” (scheda tecnica ministeriale).

Secondo la Procura attrice il danno sarebbe derivato da una condotta prescrittiva inappropriata rifacendosi al riguardo a quanto in proposito precisato a più riprese dall’ASL di Varese. Al riguardo il Collegio deve rilevare che la domanda attrice risulta sfornita di fondamento per mancanza di prova della condotta antigiuridica. Ciò perché facendo corretta applicazione delle norme in tema di distribuzione dell’onere probatorio tra le parti (art. 2697 c.c.), deve infatti ritenersi che nel caso di specie, non spetti al medico convenuto di provare che i pazienti soffrissero effettivamente di patologie rientranti tra quelle indicate dalle note CUF nn. 2, 5, 48 e 48 bis – onere che oltre tutto, per incidens, sarebbe comunque assai difficile assolvere, dato il lungo tempo trascorso dai fatti – ma viceversa sia l’attore a dover provare il contrario. Il fondamento della domanda proposta è infatti che le prescrizioni siano state effettuate al di fuori dei casi contemplati nella nota CUF di riferimento o, per riportarsi (in negativo) alla dizione normativa, che non siano state “conformi alle condizioni e alle limitazioni previste dai provvedimenti della Commissione unica del farmaco” (art. 1, comma 4 D.L. n. 323/1996 cit.). “Di tale fatto andava quindi fornita la prova certa, che non è stata data, essendosi dimostrato, tutt’al più, che le patologie diagnosticate avrebbero potuto non essere tra quelle elencate dalle note sopra richiamate”.

La domanda della Procura deve quindi essere rigettata.

Autore: Marcello Fontana - Ufficio Legislativo FNOMCeO

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