Dirigenti medici e attestazione presenza in servizio

CASSAZIONE PENALEDirigenti medici e attestazione presenza in servizioLa Corte di Cassazione conferma che costituisce condotta suscettibile di integrare il reato di truffa quella del dirigente medico che si allontani dal luogo di lavoro senza far risultare mediante timbratura del cartellino i periodi di assenza.(Sentenza n. 4397/15)

FATTO: N.G. era stato imputato del reato di truffa aggravata perché, nella sua qualità di dirigente medico dell’ASL RMC timbrava i cartellini segnatempo attestanti la presenza sul luogo del lavoro dal quale, però, si allontanava senza effettuare le prestazioni lavorative inducendo così in errore l’Amministrazione di appartenenza che gli corrispondeva, dal 18/04/2011 al 30/06/2011, l’importo non dovuto di € 21.842,52. Con sentenza del 07/03/2014, il giudice dell’udienza preliminare del tribunale di Roma disponeva il non luogo a procedere nei confronti di N.G. – imputato per il reato di cui all’art. 640/2 cod. pen. – per difetto di imputabilità essendo il medesimo affetto da un disturbo delirante cronico così come accertato dal perito.2. Avverso la suddetta sentenza, l’imputato, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione deducendo la VIOLAZIONE DELL’ART. 425 COD. PROC. PEN. per avere il giudice pronunciato sentenza di non luogo a procedere per mancanza di imputabilità nonostante non vi fosse alcuno elemento per sostenere la configurabilità del reato attribuitogli. Con memoria depositata il 30/12/2014, il ricorrente ha ribadito ed ulteriormente illustrato quanto dedotto con il ricorso.

DIRITTO: La Corte di Cassazione ha affermato che nel caso di specie, il giudice dell’udienza preliminare ha rilevato che, “quanto ai fatti oggetto d’imputazione, l’esposto in atti dell’Asl Roma C, del 30/09/2011, prot. 59554, con documenti allegati, consente di ritenere accertata la configurabilità, in termini materiali e di colpevolezza del reato attribuito all’imputato”: il che significa che la documentazione in atti non consentiva alcun proscioglimento ma, anzi, imponeva il rinvio a giudizio.
Poiché, però, era emersa una pacifica causa di non imputabilità, correttamente, il giudice dell’udienza preliminare ha dichiarato il non luogo a provvedere per difetto di imputabilità. Sul punto va osservato che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, “a seguito della modifica dell’art. 425 cod. proc. pen., introdotta con l’art. 23 della L. n. 479 del 1999, deve ritenersi ricompresa nella disposizione normativa secondo cui il giudice può pronunciare sentenza di proscioglimento nei confronti di persona non punibile per qualsiasi causa anche l’ipotesi di difetto di imputabilità per incapacità di intendere e di volere, a condizione che non debba essere applicata una misura di sicurezza personale, in considerazione dell’assenza di pericolosità sociale dell’imputato”: Cass. 21826/2014 Rv. 259577. Pertanto la Corte di Cassazione rileva che la correttezza della decisione impugnata resta ancor di più confermata proprio perché lo stato precario di salute mentale, se costituisce una causa di non imputabilità, non può certo determinare il non luogo a procedere per motivi di merito. In conclusione, l’impugnazione deve rigettarsi con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali).

Autore: Marcello Fontana - Ufficio Legislativo FNOMCeO

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