CORTE DI CASSAZIONE (Sez. Penale) – Responsabilità del primario. Il primario non può invocare il principio di affidamento. Il primario é tenuto al ruolo di supervisione nei confronti degli altri terapeuti presenti nel reparto, anche quando i pazienti sono ad essi affidati (sentenza nr. 4985/14).
FATTO: il Tribunale di Palmi ha affermato la responsabilità degli imputati in ordine al reato di omicidio colposo in danno di —-; e li ha altresì condannati al risarcimento del danno nei confronti delle parti civili. La sentenza è stata parzialmente riformata dalla Corte d’appello di Reggio Calabria che ha ridotto le pene. Secondo quanto ritenuto dei giudici di merito, la paziente —- che si trovava nel terzo mese di gravidanza ed era assistita dal ginecologo Dott. —- manifestò malessere che comunicò telefonicamente al sanitario ricevendo rassicurazioni. Il giorno 25 febbraio ebbe luogo una visita cui seguirono gli esami ematologici e delle urine, che evidenziarono un valore del glucosio molto superiore a quello normale. Il medico diede ulteriori rassicurazioni ma il malessere, costituito da nausea e vomito, non cessò, sicché il terapeuta, il giorno seguente, dispose il ricovero nella clinica privata nella quale prestava servizio. Il successivo 27 febbraio furono eseguiti vari esami e fu ripetuta l’analisi del sangue che evidenziò valori della glicemia e della glicosuria elevatissimi. Tali dati si coniugavano non con una sintomatologia marcata, come sete, richiesta di bevande zuccherate e bisogno di urinare. Il —-, anche in tale contesto, diede assicurazioni. Sebbene la condizione della donna peggiorasse i diversi medici che si alternarono tennero un atteggiamento noncurante. Il successivo 2 marzo la condizione della paziente divenne drammatica, iniziò a delirare, entrò in stato comatoso e il test glicemico indicò un valore altissimo. Fu disposto l’immediato ricovero presso l’ospedale di —–. Qui fu immediatamente diagnosticato coma diabetico. Il giorno seguente la giovane donna venne meno dopo aver perso spontaneamente il feto. Dall’indagine peritale è emerso che la morte è stata determinata da disfunzione multisistemica da scompenso metabolico in soggetto in coma dovuto a diabete gestionale del primo trimestre. Alla stregua di tali acquisizioni è stata ritenuta la responsabilità colposa degli imputati per non aver diagnosticato una patologia facilmente individuabile, omettendo così i trattamenti medici necessari che sicuramente l’avrebbe salvata. Analogo addebito viene mosso nei confronti del primario Dott. —-, responsabile della struttura sanitaria in questione, sia per aver omesso la doverosa supervisione del caso clinico in esame, sia per aver mancato ai suoi doveri professionali nel corso dei suoi turni di servizio nei giorni 27 28 e 29 febbraio. Al primario quindi è stato sempre contestato di non essersi dedicato alla paziente, di non averla esaminata, di averla solo osservata di sfuggita, nonostante egli fosse tenuto, nella sua duplice veste di medico di turno e di responsabile del reparto, ad esercitare pienamente la funzione terapeutica nei confronti della paziente. Tale trascuratezza ha correttamente fondato la responsabilità.
DIRITTO: La Corte Suprema di Cassazione ha rilevato che “pure inconferente appare il richiamo al principio di affidamento. Il primario era tenuto a ruolo di supervisione nei confronti degli altri terapeuti presenti nel reparto, anche quando i pazienti erano ad essi affidati. E’ evidente, che dovendo supervisionare, non ci si può passivamente affidare ma occorre instaurare un rapporto critico-dialettico con gli altri sanitari, tanto più quando il caso si rivela per qualunque ragione di problematica risoluzione”. Pertanto la circostanza che la paziente fosse affidata al Dott.— non esonerava il Dott. —- dal prendersene a sua volta cura soprattutto in considerazione del fatto che egli, nella qualità di primario, aveva avuto modo, durante il giro delle visite, di prendere cognizione del suo stato di salute e di agire di conseguenza. Palesemente priva di pregio è, poi, l’argomentazione in ordine al nesso causale. In base ai più consolidati principi in tema di causalità condizionalistica è agevole considerare, ribadendo l’argomentazione della Corte d’appello, che la patologia si rivelava in modo conclamato già all’atto del ricovero e poi, in modo crescente, nei giorni seguenti. Ne discende che se il primario Dott. ——- avesse fatto fronte ai suoi doveri professionali, ben avrebbe potuto correttamente diagnosticare la patologia, trattarla ed evitare il coma letale. Null’altro occorre aggiungere per dimostrare il nesso causale