Licenziamento per simulazione di malattia

Corte di Cassazione Sentenza n. 18507/16 – Simulazione della malattia e licenziamento – La Corte di Cassazione ha affermato che è legittimo il ricorso, da parte del datore di lavoro, ad una agenzia investigativa per verificare l’attendibilità della certificazione medica attestante lo stato di malattia del dipendente. Infatti non è precluso al datore di lavoro di procedere, al di fuori delle verifiche di tipo sanitario, ad accertamenti di circostanze di fatto atte a dimostrare l’insussistenza della malattia o la non idoneità di quest’ultima a determinare uno stato d’incapacità lavorativa e, quindi, a giustificare l’assenza.

FATTO E DIRITTO: Con sentenza n. 80/2015, depositata il 6/2/2015, la Corte di appello di Caltanissetta, in accoglimento del reclamo proposto da (Omissis) e in riforma della sentenza del Tribunale di Gela, respingeva il ricorso con il quale I.O. aveva impugnato il licenziamento intimatogli per giusta causa, con telegramma in data 13/12/2013, per "simulazione fraudolenta dello stato di malattia". La Corte di appello riteneva legittimo il ricorso, da parte del datore di lavoro, ad una agenzia investigativa per verificare l’attendibilità della certificazione medica e utilizzabili il video e le fotografie, che ritraevano il lavoratore mentre il 7/11/2013, e quindi durante il periodo di malattia, eseguiva, dalle ore 13.30 alle ore 14.20, lavori sul tetto e nella corte della propria abitazione, non essendovi stato idoneo disconoscimento, ex art. 2712 c.c., di tali riproduzioni; riteneva, quindi, attendibile la testimonianza dell’investigatore privato incaricato dalla società di svolgere le indagini, stante la sua estraneità ai fatti di causa, ed esente il procedimento disciplinare dai vizi dedotti, posto che le contestazioni, così come formulate, non potevano ritenersi generiche, che il termine di 8 giorni (dalla presentazione delle giustificazioni) previsto dal CCNL Metalmeccanici per l’adozione del provvedimento era di natura meramente ordinatoria e che la garanzia rappresentata dall’affissione in luogo accessibile a tutti del codice disciplinare non trovava applicazione nel caso di specie, in cui si discuteva della violazione di doveri fondamentali connessi al rapporto di lavoro.

La Corte di appello si è, infatti, attenuta al principio di diritto, secondo il quale "le disposizioni dell’art. 5 della legge 20 maggio 1970, n. 300, in materia di divieto di accertamenti da parte del datore di lavoro sulle infermità per malattia o infortunio del lavoratore dipendente e sulla facoltà dello stesso datore di lavoro di effettuare il controllo delle assenze per infermità solo attraverso i servizi ispettivi degli istituti previdenziali competenti, non precludono al datore medesimo di procedere, al di fuori delle verifiche di tipo sanitario, ad accertamenti di circostanze di fatto atte a dimostrare l’insussistenza della malattia o la non idoneità di quest’ultima a determinare uno stato d’incapacità lavorativa e, quindi, a giustificare l’assenza. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto legittimi gli accertamenti demandati, dal datore di lavoro, a un’agenzia investigativa, e aventi a oggetto comportamenti extralavorativi, che assumevano rilievo sotto il profilo del corretto adempimento delle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro: Cass. 26 novembre 2014 n. 25162). Conforme Cass. 3 maggio 2001 n. 6236.

La Corte di appello ha ampiamente motivato sulla sussistenza di una giusta causa di licenziamento e sulla proporzionalità della sanzione irrogata (cfr. sentenza, pp. 9-13), così da sottrarsi, con tutta evidenza, alla censura di omessa motivazione (art. 132 c.p.c., n. 4). È poi costante l’orientamento, fatto proprio dalla sentenza impugnata, secondo il quale "lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente assente per malattia può giustificare il recesso del datore di lavoro, in relazione alla violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede e degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà, oltre che nell’ipotesi in cui tale attività esterna sia per sé sufficiente a far presumere l’inesistenza della malattia, dimostrando, quindi, una fraudolenta simulazione, anche nel caso in cui la medesima attività, valutata con giudizio ‘ex ente’ in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte, possa pregiudicare o ritardare la guarigione e il rientro in servizio, con conseguente irrilevanza della tempestiva ripresa del lavoro alla scadenza del periodo di malattia" (Cass. 29 novembre 2012 n. 21253; Cass. 1 luglio 2005 n. 14046).

Autore: Marcello Fontana - Ufficio Legislativo FNOMCeO

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