Sentenza sulla Responsabilità medica

Cassazione Civile Sentenza n. 4540/16 – Responsabilità medica – La Corte di Cassazione ha affermato che non si impone sempre e comunque alla struttura sanitaria ed al medico strutturato (che abbia correttamente operato in base agli strumenti diagnostici a sua disposizione) di indirizzare la paziente ad un centro ecografico di più elevata specializzazione, ma soltanto ove le apparecchiature tecniche non siano adeguate allo scopo; ossia – nella specie – non fossero tali da fornire una risposta corretta e completa in ordine alla diagnosi morfologica del feto diversamente da altri strumenti ecografici presenti in strutture sanitarie diverse.

FATTO: Con atto di citazione del dicembre 1992, i coniugi M.S. e S.R. convennero in giudizio i medici C.A. , Ma.Ma. , L.E. ed il Policlinico Sassarese S.p.A. (quale struttura sanitaria ove gli stessi prestavano attività lavorativa) per sentirli condannare in solido tra loro al risarcimento di tutti i danni patiti in conseguenza della negligente ed imperita assistenza medica prestata ad essa attrice durante la sua gravidanza e della omessa informazione sull’esistenza di gravissime malformazioni fetali in capo al nascituro, colpevolmente non rilevate neppure nel corso degli accertamenti ecografici eseguiti alla 19 e alla 25 settimana di gestazione, ma ravvisate soltanto alla 32 settimana, epoca in cui non era più consentito il ricorso all’interruzione volontaria della gravidanza.

DIRITTO: Il giudice di secondo grado avrebbe escluso che il Policlinico Sassarese ed i medici ivi operanti fossero obbligati ad informare la gestante della possibilità di più elevate percentuali di successo diagnostico ripetendo l’esame ecografico presso strutture più avanzate, in tal modo errando ad espungere dalla sfera del dovuto un atto di informazione che è diretto al soddisfacimento dell’interesse del paziente così come dedotto nel contratto, che era, nella specie, quello alla ‘conoscenza dello stato patologico del feto al fine di potersi autodeterminare alla interruzione volontaria della gravidanza. La Corte di Cassazione afferma in linea generale che in tema di controlli ecografici sul feto, ai fini della relativa diagnosi morfologica, l’obbligo gravante sulla struttura sanitaria e sullo stesso medico strutturato, che abbia concretamente operato la diagnosi, di informare la paziente, che ad essa si sia rivolta (ed abbia, quindi, concluso con la struttura il c.d. contratto di spedalità), di poter ricorrere a centri di più elevata specializzazione sorge, anzitutto, in ragione dell’esistenza di un presupposto inadempimento, addebitabile unicamente alla struttura sanitaria, di aver assunto la prestazione diagnostica pur non disponendo di attrezzature all’uopo adeguate, così da ingenerare nella paziente l’affidamento che il risultato diagnostico ottenuto (di normalità fetale) sia quello ragionevolmente conseguibile in modo definitivo. Si tratta di inadempimento legato a deficit organizzativi della struttura sanitaria, la quale, infatti, è obbligata, proprio in base al citato contratto di spedalità, a mettere a disposizione non solo il personale sanitario, ma anche le necessarie attrezzature idonee ed efficienti, della cui inadeguatezza essa struttura, inadempiente ex art. 1218 cod. civ., risponde in modo esclusivo (cfr., tra le tante, Cass., sez. un., 1 luglio 2002, n. 9556; Cass., 26 gennaio 2006, n. 1698), essendo, dunque, esonerato da siffatta specifica responsabilità il medico che, diligentemente e in modo perito secondo le leges artis, sia intervenuto sul paziente (Cass., 11 maggio 2009, n. 10743).Con riferimento al caso di specie la Corte di Cassazione ha rilevato che l’obbligo protettivo di informazione nasce in uno con l’inadempimento, da parte della struttura sanitaria, dell’obbligo di adeguatezza organizzativa in rapporto all’assunzione della prestazione di spedalità in favore del paziente nonostante il deficit organizzativo. Sicché, il principio enunciato dalla decisione del 2011 non impone sempre e comunque alla struttura sanitaria ed al medico strutturato (che abbia correttamente operato in base agli strumenti diagnostici a sua disposizione) di indirizzare la paziente ad un centro ecografico di più elevata specializzazione, ma soltanto ove le apparecchiature tecniche non siano adeguate allo scopo; ossia – nella specie – non fossero tali da fornire una risposta corretta e completa in ordine alla diagnosi morfologica del feto diversamente da altri strumenti ecografici presenti in strutture sanitarie diverse. Sicché è corretta la decisione del giudice di appello che – al di là dell’erroneo convincimento sulla portata dell’evocato precedente di questa Corte – ha escluso, in linea con i principi sopra enunciati, l’assenza dell’inadempimento (a carico di struttura sanitaria e medici) dell’obbligo di informare la M. sulla presenza di altri centri specializzati e più idonei a rendere una diagnosi di morfologia fetale corretta e completa, giacché era “del tutto arbitrario affermare che la difficoltà nella diagnosi dipendesse, quantomeno all’epoca, dalla mancata visione degli arti nella loro interezza e non dalla rudimentale tecnica dei macchinari in quel periodo utilizzabili” (anno 1986), che, come accertato in base alla espletata c.t.u. collegiale, non consentivano che una scarsa sensibilità (inferiore al 20% in età gestazionale utile all’interruzione della gravidanza

Autore: Marcello Fontana - Ufficio Legislativo FNOMCeO

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