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Identità di genere: chirurgia vs autodeterminazione

Per cercare di capire i risvolti sociali e culturali
della diversa interpretazione, abbiamo posto tre domande alla sociologa Chiara
Saraceno, che si è a lungo occupata di identità di genere e dei correlati
mutamenti, in seno alla famiglia e alla società.  

Dott.ssa Saraceno, la sentenza si accorda a una recente risoluzione del Consiglio d’Europa che, pur non avendo effetti vincolanti, raccomanda agli Stati membri di favorire il principio di autodeterminazione in rapporto all’identità di genere. Se lo aspettava?
Non sono una giurista e non conosco né la norma di riferimento né le diverse interpretazioni che ne sono state date a livello giurisprudenziale. Constato solo che la giurisprudenza italiana sembra seguire sempre più quella europea (di entrambe le Corti), forse anche a seguito di passaggi generazionali, con giudici più giovani e meno esclusivamente centrati sul dibattito e la cultura giurisprudenziale interna/nazionale. Anche se proprio il venir meno di una cultura giuridica largamente omogenea può aprire a sentenze contraddittori el’una rispetto all’altra

In ambito medico la disforia di genere rientra nel DSM-5 ma ha un profilo diagnostico complesso su cui il dibattito è aperto e sembra attualmente orientato verso la depatologizzazione – posizione che la sentenza asseconda. Ci aiuta a inquadrare il senso della sentenza dal punto di vista culturale e sociologico?
Per quanto ne capisco da non giurista, la sentenza condivide la prospettiva di chi sostiene che l’identità di genere, cioè il sentirsi uomini piuttosto che donne, non coincide necessariamente con l’avere un corpo conformato in un modo piuttosto che in un altro per quanto attiene agli organi sessuali primari e secondari. Perciò non richiede di adattare, anche in modo cruento e radicale, il corpo a quella identità. Questa posizione nasce da un lungo dibattito sul rapporto tra sesso, genere, e identità di genere, ove con il primo si intende il corpo sessuato, con il secondo i ruoli e le aspettative sociali (quindi storicamente determinate e spesso asimmetriche, oltre che diverse da un’epoca e da una società all’altra) attribuite a chi è al mondo con corpo sessuato maschile o femminile, e con il terzo il modo in cui ci si identifica, o ci si sente. Quanto più rigidi sono i ruoli di genere, tanto più ci si aspetta una sovrapposizione tra tutte e tre le dimensioni. Personalmente ho sempre trovato crudeli nei confronti delle persone transessuali sia le richieste di trasformazioni radicali del corpo, sia i test psicologici e i periodi di prova in cui si verifica se si comportano davvero “da uomini” piuttosto che “da donne” stereotipiche. Come se ci fosse un modo univoco di essere “uomo” o “donna”. È una visione stereotipica cui spesso le persone transessuali, soprattutto nella fase di passaggio, reagiscono con forme che definirei di iperrealismo. Sono state, per altro, proprio le persone transessuali negli ultimi anni, a livello teorico e pratico, a mettere in discussione la validità e necessità di quella sovrapposizione. Ci si potrebbe chiedere se, in un mondo in cui i ruoli di genere fossero fluidi, le persone che sperimentano una disforia di genere sentirebbero con altrettanta urgenza la necessità di un cambio di stato civile dal punto di vista della appartenenza di sesso. Ma al momento è una domanda del tutto astratta.

In un paese come l’Italia che, in tema di famiglia e identità di genere, ha sempre mostrato resistenze marcate al cambiamento, crede che la giurisprudenza, con sentenze come questa, possa aprire la strada ad adeguamenti normativi?
Tutti i cambiamenti normativi in Italia (e forse non solo in Italia) in tema di famiglia e di sessualità (si pensi alla contraccezione) sono stati preceduti non solo, come è ovvio, da mutamenti culturali che hanno anche dato luogo a gruppi di pressione e movimenti, ma da mutamenti giurisprudenziali, a loro volta sollecitati da quei mutamenti. La riforma del diritto di famiglia del 1975 fu preceduta da una lunga serie disentenze innovative che avevano progressivamente smantellato il codice della famiglia di stampo fascista, specie per quanto riguardava l’asimmetria tra marito e moglie. Lo stesso sta avvenendo per il riconoscimento delle coppie dello stesso sesso. Ed è già avvenuto per quanto riguarda il ricorso alle tecniche di riproduzione assistita. Dove sentenze italiane ed europee hanno progressivamente smantellato la legge 40. Aiuta anche il quadro internazionale in cui volenti o nolenti siamo inseriti, anche a livello normativo. Ciò detto, anche la giurisprudenza non procede sempre in modo lineare, al contrario. In una democrazia, occorre che ad un certo punto intervenga una norma che valga erga omnes, sottraendo il rispetto dei diritti individuali alla discrezionalità delle interpretazioni giurisprudenziali (e alle risorse economiche e conoscitive necessarie per adire in giudizio)

A cura di S.Boggio 

Autore: Redazione FNOMCeO

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