Cassazione Penale Sentenza n. 53150/17 – Colpa medica – Tutela del diritto alla salute dei detenuti – L’assistenza sanitaria ai detenuti deve essere prestata, nel corso della permanenza nell’istituto “con periodici e frequenti riscontri, indipendentemente dalle richieste degli interessati”, con ciò ponendo un obbligo di controllo delle condizioni sanitarie generali dei detenuti, che deve essere periodico e frequente, specie in presenza di situazioni soggettive meritevoli di particolare attenzione, in considerazione di peculiari condizioni psico-fisiche derivanti anche da una pregressa storia clinica che caratterizzi il detenuto come soggetto potenzialmente a rischio sanitario.
FATTO E DIRITTO: La Corte territoriale ha ritenuto che l’obbligo del (Omissis) di effettuare le visite mediche fosse previsto con esclusivo riferimento alle ipotesi di espressa richiesta del detenuto o di specifico ordine del direttore sanitario della struttura carceraria. La Corte di Cassazione ha affermato che una simile impostazione è frutto di una erronea interpretazione dei principi normativi nazionali e sovranazionali che regolano la materia. La tutela del diritto alla salute delle persone private della libertà personale si ricava, in primo luogo, in via interpretativa dalla Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo e dalla Convenzione EDU, che sostanzialmente fanno riferimento al divieto di sottoporre i detenuti a trattamenti disumani e degradanti, sulla scorta di principi giurisprudenziali ricavati dalla Corte EDU, che riconducono il diritto alla salute nell’alveo dei diritti garantiti in ambito internazionale, quale corollario del diritto e della dignità umana. Vi sono poi le regole penitenziarie europee, ove si afferma che la finalità del trattamento consiste nel salvaguardare la salute e la dignità dei condannati nella prospettiva del loro reinserimento sociale, nonché la deliberazione approvata dall’ONU in materia di “Principi di etica medica per il personale sanitario in ordine alla protezione dei detenuti”, nella quale è previsto che “gli esercenti le attività sanitarie incaricati di prestare cure a persone detenute o comunque private della libertà, hanno il dovere di proteggerne la salute fisica e mentale, nello stesso modo che li impegna nei confronti delle persone libere”. L’interpretazione della legge adottata nella sentenza impugnata non considera che l’art. 11 dell’Ordinamento penitenziario, nella seconda parte del comma 5, dispone che l’assistenza sanitaria sia prestata, nel corso della permanenza nell’istituto “con periodici e frequenti riscontri, indipendentemente dalle richieste degli interessati”, con ciò ponendo un obbligo di controllo delle condizioni sanitarie generali dei detenuti, che deve essere periodico e frequente, specie in presenza di situazioni soggettive meritevoli di particolare attenzione, in considerazione di peculiari condizioni psico-fisiche derivanti anche da una pregressa storia clinica che caratterizzi il detenuto come soggetto potenzialmente a rischio sanitario. Da questo punto di vista il (Omissis) rientrava appieno nella categoria, avendo subito solo pochi giorni prima un rilevante trauma toracico, consistente in una ferita da arma da fuoco trapassante il polmone destro. Più in generale va ricordato che la possibilità per il detenuto di fruire di cure mediche appropriate anche nella condizione di restrizione carceraria, oltre a porsi in linea con la normativa di principio, costituisce il presupposto fondante la linea di demarcazione tra la compatibilità e l’incompatibilità delle condizioni psico-fisiche della persona con il regime carcerario; tale rilievo, desumibile dal sistema di norme costituito dagli artt. 299, comma 4-ter, c.p.p., 147 n. 2 c.p. e 47 ter, comma 1-ter, l. n. 354/75, impone un’interpretazione del testo normativo conforme all’obiettivo di associare la privazione della libertà personale al constante controllo delle condizioni di salute della persona. In definitiva, ed a prescindere da eventuali colpe concorrenti di altri operatori sanitari, la sentenza impugnata è carente, sotto il profilo logico-giuridico, proprio nella parte in cui esclude la responsabilità omissiva del (Omissis) – per quanto attiene alla sua specifica posizione di garanzia all’interno del reparto in cui era stato collocato il detenuto – sul presupposto che il medico non avrebbe potuto agire senza la richiesta del detenuto, addirittura invocando altrimenti la possibile contestazione nei sui confronti della previsione di cui all’art. 328 c.p. Dal quadro normativo di riferimento innanzi delineato si ricava, invece il principio esattamente opposto: il medico, tenuto conto della storia clinica pregressa del detenuto (trauma toracico al polmone conseguente a ferita da arma da fuoco), aveva il precipuo dovere di attivarsi per monitorare con attenzione la situazione medica del paziente, con visite approfondite e non con meri “rilievi di passaggio”, all’occorrenza segnalando alla direzione carceraria la necessità di trasferire il detenuto in una struttura sanitaria idonea a curarlo adeguatamente. La Corte ha quindi annullato la sentenza impugnata e rinviato per nuovo esame al giudice civile competente