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Lesioni personali colpose provocate da responsabilità medica

Cassazione Penale Sentenza n. 12701/16 – Lesioni personali colpose provocate da responsabilità medica  – In ambito di colpa medica è da tempo condiviso il principio secondo cui il nesso causale può essere ravvisato quando si accerti che, ipotizzandosi come realizzata dal medico la condotta doverosa impeditiva dell’evento "hic et nunc", questo non si sarebbe verificato, ovvero si sarebbe verificato ma in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva.

FATTO E DIRITTO: Con sentenza n. 449/2015 del 30/01/2015, la Corte di Appello di Palermo confermava la sentenza del Tribunale di Palermo emessa in data 10/07/2012 con cui M.M. era stato dichiarato colpevole del reato di lesioni personali colpose aggravato ascrittogli commesso in (OMISSIS) e lo condannava alla pena di mesi cinque di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. In ambito di colpa medica, poi, è da tempo condiviso il principio secondo cui il nesso causale può essere ravvisato quando si accerti che, ipotizzandosi come realizzata dal medico la condotta doverosa impeditiva dell’evento "hic et nunc", questo non si sarebbe verificato, ovvero si sarebbe verificato ma in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva; in tali casi al giudice di legittimità è assegnato solo il compito di controllare retrospettivamente la razionalità delle argomentazioni giustificative la c.d. giustificazione esterna – della decisione, inerenti ai dati empirici assunti dal giudice di merito come elementi di prova, alle inferenze formulate in base ad essi ed ai criteri che sostengono le conclusioni: non la decisione, dunque, bensì il contesto giustificativo di essa, come esplicitato dal giudice di merito nel ragionamento probatorio che fonda il giudizio di conferma dell’ipotesi sullo specifico fatto da provare. Nel caso che occupa, il giudice del merito ha correttamente ritenuto sussistente il nesso causale tra la condotta del ricorrente e le lesioni patite dalla persona offesa. Ha il giudicante valorizzato il fatto che l’avere, quale primario medico, prescritto la terapia, la cui somministrazione si è protratta per 12 ore e affidata a un infermiere, con la vigilanza di uno dei medici del reparto, non poteva esimere l’imputato dall’obbligo di un conseguente controllo simultaneo o successivo, purché adeguato alla delicatezza della terapia praticata (tenuto conto del meccanismo d’azione del farmaco e della zona pervasa dall’infusione). Egli avrebbe dovuto, innanzi tutto, vigilare in modo appropriato, perché la somministrazione dei farmaci chemioterapici avvenisse in condizioni di sicurezza, anche nella fase di esecuzione materiale, al fine di evitare lo stravaso della miscela di liquidi e farmaci citotossici nei tessuti o nelle cavità (nella specie la cavità pleurica) e soprattutto intervenire tempestivamente dopo essere stato informato dell’errore verificatosi nel corso delle procedure seguite per l’infusione (si veda anche la deposizione del teste C.M.D., capo sala, all’UD. del 20/12/2011). Afferma ancora la corte territoriale che il ricorrente avrebbe dovuto fronteggiare l’errore di non avere direttamente controllato la corretta infusione dei chemioterapici, procedendo a tutte le attività previste dai protocolli medici e soprattutto avrebbe dovuto informare la paziente di quanto avvenuto anche per consentirle di consultare altri centri per le cure del caso, mettendola nelle condizioni di scegliere un ricovero in altri nosocomi maggiormente idonei a risolvere la patologia indotta. Anche da ciò il giudicante ha derivato la responsabilità del M., aggiungendo che la veste di primario del reparto giustifica, da sola, la ritenuta responsabilità, in quanto il primario è tenuto a ruolo di supervisione nei confronti degli altri terapeuti presenti nel reparto non potendosi passivamente affidare ma instaurare un rapporto critico-dialettico con gli altri sanitari, tanto più quando il caso si rivela per qualunque ragione di problematica risoluzione (sez. 4, n. 4985 del 07/01/2014). Quanto alla colpa, appare evidente che il ricorrente abbia violato le norme cautelari di condotta (specifiche e generiche) mentre era pienamente esigibile da lui un comportamento alternativo – a quello tenuto – e corretto.

Autore: Marcello Fontana - Ufficio Legislativo FNOMCeO

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