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Condannato infermiere che applica un catetere vescicale contro l’espressa volontà manifestata dal paziente

Cassazione Penale  –  Condannato infermiere che applica un catetere vescicale contro l’espressa volontà manifestata dal paziente – Nel caso della volontà del paziente, manifestata in forma inequivocabilmente negativa concretizzante un rifiuto del trattamento terapeutico prospettatogli, l’operatore trova un limite invalicabile al suo operare, ancorché l’omissione dell’intervento possa cagionare il pericolo di un aggravamento dello stato di salute dell’infermo e, persino, la sua morte. La Corte di Cassazione ha quindi affermato che i giudici di merito hanno fatto corretta applicazione dei principi posti dal nostro ordinamento, in primo luogo dall’art. 32 Cost., comma 2, a norma del quale nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario, se non per disposizione di legge, specificazione del più generale principio posto dall’art. 13 Cost., che garantisce l’inviolabilità della libertà personale con riferimento anche alla libertà di salvaguardia della propria salute e della propria integrità fisica, e dalla L. 23 dicembre 1978, n. 833, art. 33, che esclude la possibilità d’accertamenti e di trattamenti sanitari contro la volontà del paziente, se questo è in grado di prestarlo e non ricorrono i presupposti dello stato di necessità ex art. 54 c.p. Sentenza n. 38914/15

FATTO: Con sentenza in data 21.1.2014 la Corte di Appello di Trieste confermava la sentenza del G.u.p. del Tribunale di Udine, con la quale T.S. era stato condannato alla pena di mesi quattro di reclusione, con le attenuanti generiche e la diminuente per il rito abbreviato, per il delitto (capo B) di cui agli artt. 610 e 61 nn. 5) e 9) c.p., perché, nella sua veste di infermiere professionale in servizio presso l’Ospedale “Santa Maria della Misericordia” di Udine, costringeva M.R. a subire l’applicazione di un catetere vescicale, pur a fronte del rifiuto opposto da quest’ultimo, colpendolo dapprima alle mani con degli schiaffi e costringendolo con la forza e, quindi, strattonandolo (il tutto urlando all’indirizzo del paziente con fare minaccioso e bestemmiando ripetutamente) e da ultimo, in conseguenza della reazione fisica del M. che si dimenava, lo immobilizzava con delle polsiere, portando a termine il posizionamento del catetere, con le aggravanti di aver commesso il fatto approfittando di circostanze personali (anziana età della persona offesa, nata il (OMISSIS) ), tali da ostacolare la pubblica o privata difesa, con abuso dei poteri e/o violazione dei doveri inerenti al pubblico servizio svolto, nonché per il delitto capo C) di cui agli artt. 582 – 585 – 576 n. 1) c.p., in relazione all’art. 61 n. 2), e 61 nn. 5) e 9) c.p., perché, con la condotta descritta, cagionava a M.R. lesioni personali (nella specie: ematomi alle mani), con le aggravanti di aver commesso il fatto per eseguire il reato di cui al capo B), approfittando di circostanze personali (anziana età della persona offesa), tali da ostacolare la pubblica o privata difesa, con abuso dei poteri e/o violazione dei doveri inerenti al pubblico servizio svolto.

DIRITTO: Non potendo equipararsi la situazione dell’assenza di consenso al trattamento terapeutico al rifiuto espresso dal paziente, la presenza di quest’ultimo avrebbe dovuto far desistere l’imputato dall’apporre il catetere, sicché l’aver provveduto a tale trattamento, ricorrendo a violenza fisica (picchiando sulle mani il paziente, pizzicandolo, immobilizzandolo, afferrandogli con violenza il pene, come pacificamente emerso dal dibattimento), per vincere la resistenza della p.o., integra le ipotesi di reato all’imputato attribuite. I giudici di merito hanno fatto corretta applicazione dei principi posti dal nostro ordinamento, in primo luogo dall’art. 32 Cost., comma 2, a norma del quale nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario, se non per disposizione di legge, specificazione del più generale principio posto dall’art. 13 Cost., che garantisce l’inviolabilità della libertà personale con riferimento anche alla libertà di salvaguardia della propria salute e della propria integrità fisica, e dalla L. 23 dicembre 1978, n. 833, art. 33, che esclude la possibilità d’accertamenti e di trattamenti sanitari contro la volontà del paziente, se questo è in grado di prestarlo e non ricorrono i presupposti dello stato di necessità ex art. 54 c.p. (arg. ex Sez 4, n. 16375 del 23/01/2008). Nel caso della volontà del paziente, manifestata in forma inequivocabilmente negativa concretizzante un rifiuto del trattamento terapeutico prospettatogli, l’operatore trova un limite invalicabile al suo operare, ancorché l’omissione dell’intervento possa cagionare il pericolo di un aggravamento dello stato di salute dell’infermo e, persino, la sua morte. In tale ultima ipotesi, qualora il medico effettui ugualmente il trattamento rifiutato, potrà profilarsi a suo carico il reato di violenza privata (arg. ex Sez. 1, n. 26446 del 29/05/2002). Già con la pronuncia n. 731 del 22.3.2001, infatti, questa Corte aveva evidenziato che il medico non può “manomettere” l’integrità fisica del paziente, quando questi abbia espresso il suo dissenso, perché ciò sarebbe, oltre tutto, in contrasto anche con il principio personalistico espressamente accolto dall’art. 2 della Corte Costituzionale, ma chiaramente emergente da una serie di altre disposizioni della legge fondamentale).

Autore: Marcello Fontana - Ufficio Legislativo FNOMCeO

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