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Farmaci: il futuro nella ricerca. Intervista a Massimo Scaccabarozzi

Foto Presidente Farmaindustria Parla Massimo Scaccabarozzi, Presidente di Farmindustria: “Non possiamo essere ancora penalizzati: la politica faccia la sua parte. I medici sono soffocati dalla burocrazia regionale. Il rischio è che la ricerca si andrà a fare fuori dall’Italia”.

Massimo Scaccabarozzi, 55 anni, è Presidente di Farmindustria, l’Associazione che riunisce le aziende farmaceutiche aderente a Confindustria,dal 23 giugno 2011. Confermato nel 2013, si è dichiarato disponibile per un nuovo mandato (“Ma solo se mi viene chiesto, non mi sono auto-candidato”, precisa). Presidente e amministratore delegato di Jannsen-Cilag, Presidente della Fondazione Johnson & Johnson, invitato nel Consiglio direttivo di Confindustria, ha una grande passione: il rock. Ha fondato un gruppo musicale, la JC band, dove canta e suona la chitarra e promuove concerti di beneficienza in favore di Associazioni No Profit, anche per Save the Children.

Presidente, la recente ricerca del Censis (L’emergenza sociale dei nuovi farmaci) ha confermato il valore sociale del farmaco. Tuttavia, le politiche di contenimento della spesa pubblica, messe in atto dai Governi che si sono succeduti negli anni, hanno sempre penalizzato la Farmaceutica. Secondo Lei, si sta continuando in questa deriva o c’è un’inversione di tendenza?

“Sembrava esserci un’inversione di tendenza: da quando c’è il Ministro Lorenzin e il Governo Renzi, non si è tagliato a sproposito nella farmaceutica, come a volte avveniva in passato. Solo che ora c’è una richiesta delle Regioni, nell’ambito della legge di stabilità, con la quale si continua ad insistere per tagli alla farmaceutica, che sono inspiegabili. I tagli alla farmaceutica servono alle Regioni per fare cassa, ponendo a carico delle aziende restituzioni di soldi con meccanismi inappropriati. Tutto ciò è inaccettabile in un Paese, l’Italia, dove i prezzi dei farmaci sono inferiori del 20 per cento rispetto alla media europea e soprattutto la spesa pro-capite per la farmaceutica è la più bassa d’Europa”.

Più volte Lei ha sottolineato che il buon impiego del farmaco induce a un contenimento della spesa sanitaria in termini di ricoveri ospedalieri e dialtre prestazioni. Che cosa c’è da fare perché questo concetto elementare sia recepito dalla politica nazionale e regionale?

“Bisognerebbe che soprattutto le politiche regionali siano politiche di responsabilizzazione, concentrandosi a promuovere politiche per il buon funzionamento del sistema sanitario e non solo per fare cassa con la farmaceutica. Se il farmaco viene considerato all’interno di un percorso, non si può dire: riduciamo la spesa farmaceutica e basta. Andiamo a vedere che cosa succede quando si impiega un farmaco e andiamo a monitorare tutti quegli esami e ricoveri inutili che si fanno oggi, evitabili se si somministra un farmaco in maniera appropriata. Un giorno di ricovero, che costa ormai mille euro, quando viene evitato, consente di dare il farmaco giusto a un cittadino per quattro anni o a quattro cittadini per un anno. Su questo non si interviene. Invece, si interviene sulla farmaceutica perché ha un tetto di spesa e tutto quello che supera quel tetto diventa cassa fresca per le Regioni. Come poi vengano utilizzate queste risorse economiche, nessuno lo sa, ma non vengono utilizzate per l’acquisto di farmaci innovativi”.

Da più parti si è sollevato il problema di come è stato applicato il regionalismo in Italia, specialmente nella Sanità: quali sono le difficoltà che incontra Farmindustria nell’avere troppi interlocutori che devono poi assumere delle decisioni?

“Le difficoltà per noi sono innanzitutto nei tempi di accesso. Noi produciamo il farmaco, l’unico bene della salute che ha un prezzo standard, perché negoziato con l’Aifa e non si capisce perché le Regioni critichino l’Aifa quando l’Aifa è composta anche da rappresentanti regionali. Abbiamo un prezzo standard, abbiamo un prezzo mediamente più basso, abbiamo una negoziazione centrale. Una volta fatto tutto questo, la difficoltà di avere 21 sistemi sanitari regionali è che ogni sistemadecide per sé in termini di tempi di accesso. Pertanto, abbiamo a che fare con21 interlocutori per un prodotto che è lo stesso e così ci sono cittadini diserie A, di serie B e di serie C: ci sono Regioni in cui il farmaco arriva dopo 60 giorni, altre in cui arriva dopo 700 giorni, altre dove il farmaco non arriva mai. Se noi guardiamo a questa cosa, è evidente che c’è un problema diefficientamento e di razionalizzazione dei costi sanitari nel Paese. Poi ci sono le migrazioni sanitarie e non ci possiamo meravigliare. Ma, visto che il farmaco è negoziato a livello centrale, ha un prezzo unico su tutto il territorio nazionale, nelle negoziazioni ci sono le Regioni (perché tutte le commissioni Aifa sono formate da componenti regionali), non si capisce perché ci debba essere questo fenomeno aggiuntivo. Poi, una cosa importante per i medici: bisogna anche lasciare fare al medico il proprio lavoro. Perché il medico oggi ha tali vincoli prescrittivi che non gli consentono di prescrivere liberamente. Invece ritengo che il medico sia l’unico soggetto in grado di decidere che farmaco dare al paziente. E poi c’è la burocrazia regionale: ci sono medici che quando devono monitorare l’impiego di un farmaco, devono andare sul Web, compilare la scheda di monitoraggio aifa e già questo porta via del tempo, poi devono compilare anche una scheda regionale, del tutto inutile. Invece sarebbe il caso che i medici avessero più tempo per i propri pazienti piuttosto che essere oppressi dalla burocrazia”.

Sono stati immessi molti farmaci innovativi per la cura di importanti patologie, e altri nuovi farmaci sono all’orizzonte. Questo significa che la ricerca va avanti e l’Italia, nonostante le ristrettezze economiche, ha prodotto buoni risultati. Quali sono, secondo Lei, le scelte strategiche da compiere, nei prossimi mesi e anni, non solo per consolidare i risultati conseguiti, ma per far compiere un balzo in avanti significativo alla ricerca? Quali le sinergie da mettere in atto?

“La ricerca ha fatto passi da gigante, stanno arrivando nuovi farmaci, che hanno risultati impressionanti. Solo quattro anni fa non avremmo mai pensato che con quattro compresse si potesse battere l’epatite C, che invece portava al trapianto di fegato. Così per alcune patologie oncologiche. C’è da dire che la ricerca è stata un grande progresso per il nostro Paese, soprattutto per i malati. Adesso la politica deve fare la sua parte, soprattutto quella regionale, per far sì che i risultati della ricerca siano disponibili per i malati italiani. Non può esistere che in un Paese civile, quando la ricerca fa questi passi, non ci sia la possibilità di dare accesso a queste cure solo perché ci sono problemi non economici, ma di gestione economica: non si guarda alla spesa nel suo insieme, ma si continua a guardare alla farmaceutica come se fosse un silos a se stante. Mi auguro che tutta questa buona ricerca che è stata fatta, in parte con ospedali e altre strutture sanitarie pubbliche, non venga vanificata solo perché non si è capaci di gestire le risorse economiche che il Paese mette a disposizione. Il rischio che vedo è che se si continuerà ad andare avanti con la gestione dei tagli anziché con la gestione reale, la ricerca nel nostro Paese non ci sarà più, perché si farà altrove, perché l’Italia non dà un accesso adeguato alle nuove innovazioni che stanno arrivando”.

Autore: Redazione FNOMCeO

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