Report n. 44/2011
WELFARE A RISCHIO SOSTENIBILITA’ FUTURA
La capacità di ridurre le diseguaglianze economiche e sociali tra cittadini o gruppi sociali può avvenire solo attraverso un forte sistema di "protezione sociale" che sostenga i costi relativi ai bisogni assistenziali ed alle malattie, invalidità, disoccupazione, vecchiaia, famiglia, alloggi, ed altro. E’ quanto emerge da uno studio del dottor Guido Quici, Vice Presidente nazionale Cimo–Asmd e Consigliere Confedir, pubblicato sulla rivista di informazione e documentazione sanitaria “Panorama della sanità”.
Certamente la cultura e la politica di ogni Stato definisce il modello di welfare da adottare privilegiando interventi su alcuni settori al posto di altri; tuttavia, in carenza di risorse, si "tamponano" le emergenze lasciando "scoperte" le altre necessità.
Oggi, in gran parte dei Paesi europei, la spesa pubblica assorbe il 50% del Pil nazionale mentre circa un terzo del Pil è destinato al sistema di protezione sociale. La recente crisi economica ha portato nel biennio 2005-2007, anche se in modo differenziato tra i diversi Stati europei, ad un disinvestimento nel welfare pari all’1% del Pil.
In particolare i Paesi nordici, che sostengono una forte spesa sociale a favore della famiglia, dell’infanzia e dei più deboli, hanno ridotto gli investimenti riducendo al 30% del Pil la propria protezione sociale in linea con alcuni Paesi continentali quali la Francia, Germania ed Olanda il cui modello finanzia principalmente altri settori quali la disoccupazione, la salute e la disabilità.
Per i Paesi del Mediterraneo, il cui welfare è incentrato prevalentemente su previdenza e salute, si è registrato invece un aumento dell’investimento che, in ogni caso, è sempre inferiore sia in termini percentuali (meno del 27% del Pil che assoluti (spesa pro-capite).
Più nel dettaglio l’Italia investe, per la protezione sociale, il 26,7% del proprio Pil (+2,4% nell’ultimo decennio), ma il Pil italiano pro-capite è più basso di molti altri Paesi (32° su scala mondiale). Ciò nonostante il nostro welfare si classifica al 13° posto su scala mondiale prima di Gran Bretagna (16°) e Stati Uniti (18°) i cui modelli sono incentrati, prevalentemente, sull’assicurazione nazionale (importi forfettari per disoccupazione e malattie) e sulle assicurazioni private e regimi previdenziali aziendali.
Entrando più nel dettaglio, in Italia i costi della previdenza assorbono il 61% della spesa sociale (il 16,1% del Pil) rispetto alla media europea del 45% a cui si aggiungono i costi per la malattia e bisogni sanitari quantificabili nella misura del 26,2%, mentre la restante quota del 12,8% è distribuita tra le altre voci. Questo significa che, in un contesto nazionale caratterizzato da un elevato debito pubblico e da una forte spesa previdenziale, sono sottratte importanti risorse, non solo ad altri settori sociali, ma anche all’istruzione, alla ricerca, alle tecnologie, ecc.
La buona posizione del welfare italiano su scala mondiale tende a far ritenere ancora valido I’attuale modello ma diventa difficile, per il futuro, la "sostenibilità" dello stesso senza I’adozione di importanti interventi correttivi in sintonia.,con I’andamento demografico dei prossimi decenni. Per comprendere più a fondo cosa accadrà nel prossimo futuro è necessario analizzare, preliminarmente, alcuni aspetti demografici.
L’Italia è tra le nazioni europee con il più basso tasso di natalità (9,18 per 1.000 abitanti) rispetto ad un tasso di mortalità del 9,84%, solo il 14% della popolazione ha un’età inferiore ai 15anni, gli ultra 65enni rappresentano il 20,3% e gli ultra 80enni il 5,8% della popolazione totale. Si calcola che nel 2030 gli ultra 65enni saranno il 26,5% (32,7% nel 2060) e gli ultra 80enni l’8,8% (14,9% nel 2060). Ne consegue che la forza lavoro si ridurrà in modo drastico per effetto del ridotto turnover legato ad uno squilibrio tra "uscita" e "ingresso" nel mondo del lavoro stimabile, per il 2030, nella misura di 2 a 1.
In questa contesto assume rilevanza anche I’immigrazione intesa come risorsa attiva ma con scarsa incidenza contributiva e scarsa protezione sociale. Nell’anno 2009 è stata rilevata la presenza, sul territorio italiano, di 4,235 milioni di stranieri con un saldo migratorio del 4,86% (anno 2011) rispetto al 2,07% del precedente anno. Naturalmente lo scenario demografico assume una notevole importanza in correlazione allo stato di salute degli italiani le cui speranze di vita alla nascita sono aumentate notevolmente e quantificabili in 78,8 anni per i maschi e di 84,2 anni per le femmine.
In questa contesto, si prevede un maggior impegno sanitario territoriale correlato, da un lato, alle emergenti patologie della "globalizzazione" ed alla prevenzione primaria e, dall’altro, alle cronicità e disabilità. Nel secondo caso la risoluzione, in ambito ospedaliero, di patologie acute cardiovascolari, oncologiche, respiratorie, ecc. conduce, di norma, ad un aumento della cronicità che, a sua volta, porta ad un aumento delle disabilità e, quindi, al rischio di un aumento della povertà per gli anziani.
In Italia nel 2007 il tasso di rischio povertà per gli over 65 è del 22% rispetto ad una media europea del 21% (15 Paesi UE) e del 19% (27 Paesi UE); viceversa, in termini di costi sanitari, si stima che I’attuale 25% della popolazione sia affetta da cronicità e che la stessa assorba il 75% della spesa sanitaria.
Per le disabilità invece, i dati elaborati dal Censis indicano una progressione che sale proporzionalmente con I’aumento dell’età media, dal 4,1% della popolazione (anno 2010) al 10,7’% (anno 2040).
Roma 14/11/2011
Autore: Redazione FNOMCeO