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45° Rapporto Censis, De Rita: “La salvezza sta nel tenere la barra dritta”

Tutti i primi venerdì di dicembre, tutti gli anni, da 45 anni. La sede: il parlamentino del CNEL, Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, a Villa Borghese, Roma. Certo, quest’anno il primo venerdì cade di 2 dicembre e diventa questa una data particolare, a soli tre giorni da lunedì 5 dicembre, quando il Presidente del Consiglio Mario Monti illustrerà in Consiglio dei Ministri le misure che il Governo adotterà per mantenere i patti con l’Europa, per risanare economia e debito sovrano, per dare all’Italia la spinta che occorre per farla tornare a crescere.

Rigore, equità, crescita: questi sono i tre pilastri su cui le misure del Governo dovranno poggiare, secondo Monti. Pertanto, quest’anno, il ponderoso volume verde del 45° Rapporto del Censis, la cui elaborazione richiede un lavoro di mesi, è stato calato  nella realtà tutta particolare che l’Italia sta vivendo e che, nella prossima settimana, diventerà un’accelerazione continua, in vista del vertice europeo dei 27 Paesi, convocato a oltranza a partire dal 9 dicembre.

E Giuseppe De Rita, con la consueta pacatezza che lo contraddistingue, invita a riflettere proprio su queste accelerazioni continue, dettate sì da scadenze reali, ma che inducono tutti a “essere prigionieri dell’evento giornaliero”. Racconta poi De Rita: “tra la prima e la definitiva stesura della considerazioni generali che accompagnano il Rapporto sono trascorsi venti giorni. Ho subìto un piccolo intervento alla cataratta, solo ieri sono tornato a rileggere il Rapporto e nelle considerazioni generali non ho cambiato nulla. Vedremo i provvedimenti del Governo, vedremo come andrà in Europa, ma il punto di fondo è un altro: comunque andrà, qualsiasi siano le misure, sia che resterà l’euro, sia se dovesse saltare, per quanto riguarda l’Italia ci sono, secondo noi, cinque certezze dalle quali non si potrà prescindere, se si vorrà davvero tornare a crescere:
1) Tornare a parlare di economia reale, conoscendo il nostro sistema produttivo, ciò che può rendere forte la nostra economia. Invece, da anni, si parla solo di finanza.
2) Tornare ad avere opzioni di lunga durata. Altrimenti continueremo a vedere solo il tempo breve, senza una visione di medio-lungo periodo, si smarrisce così il senso del tempo che entra nella storia”.
3) Capire le articolazioni interne del sistema Italia. Proprio i 150 anni dell’Unità d’Italia hanno posto l’accento sul valore della coesione. Ma la retorica non può coprire criticità e conflitti potenziali nella società italiana. Alcuni di questi conflitti meno male che ci sono, in una società sempre più imborghesita, immobile, rattrappita su se stessa.
4) Saper cogliere i nuovi format relazionali visto che la dimensione delle relazioni umane è cresciuta, anche rispetto a 5-10 anni fa, in tante realtà sociali, nelle periferie delle città, nelle scuole.
5) Superare la crisi delle rappresentanze, perché la rappresentanza è fondamentale. Invece è morta la rappresentanza sociale e politica, è morto il Parlamento, sono morti i Consigli Regionali, Provinciali e Comunali, è morta la politica.

De Rita riprende il filo di un ragionamento profondo sui troppi cedimenti nella società e nello stesso modo di percepire degli italiani una realtà che potrebbe essere rappresentata come un grosso batuffolo cresciuto in maniera abnorme attorno allo “scheletro contadino”, all’essenziale ossatura dell’Italia. Ma il batuffolo si può anche sgonfiare. “Ecco perché nel Rapporto si parla di ritorno allo scheletro contadino per scongiurare il pericolo di una realtà sociale lasciata a se stessa, con moltitudini che vagano senza conoscenza, solo in preda ad emozioni montanti”. E l’altro pericolo indicato da De Rita è “il ritorno a un nazionalismo becero, l’idea del ritorno alla lira, di fronte all’incalzare delle notizie riguardanti la BCE, la crisi economica mondiale, i debiti”. E’ passata anche un’altra idea negli ultimi mesi nei Paesi europei: “Ognuno per sé, Francoforte per tutti, che poi significa solo finanza. Ma la finanza non fa innovazione, non fa sviluppo. Non può funzionare un cosa così, non è e non andrà così”.

Consegna De Rita un’altra immagine: “Ho l’idea che il Rapporto quest’anno sia profondamente reazionario, conservativo, proprio per la suggestione dello scheletro contadino. Ma tutto ciò serve per dire che occorre qualcosa di profondo: un po’ di sano nazionalismo da conciliare con la sovranità del sociale. Di fronte a tante oscillazioni e incertezze, la salvezza sta nel tenere la barra dritta”.

Torneremo con un approfondimento sul 45° Rapporto del Censis sui temi del Welfare, della Sanità e delle professioni. Ma occorre richiamare qui anche alcuni punti evidenziati dal direttore del Censis Giuseppe Roma, che tratteggia una società che cambia con continui sobbalzi: “Siamo diventati un Paese con un’identità multipla: il 46% degli italiani sente ancora l’identità nazionale; il 15% si sente globale; il 7% avverte di più l’identità personale; il 31% è formato dai “localisti”. Da Nord a Sud, resta la famiglia la centrale della solidarietà, sovraccaricandosi di responsabilità e di azioni per supplire alla carenza di politiche di Welfare, in continua restrizione. Siamo passati dalla famiglia SpA di qualche anno fa alla famiglia distributrice di oggi, in sostegno di giovani senza lavoro o di anziani non autosufficienti. Così anche la morfologia della famiglia è mutata: la relativa stabilità dei consumi la si deve ai risparmi che oggi vengono intaccati. A questo punto siamo arrivati perché viviamo nell’incertezza da 15 anni e da 10 abbiamo uno sviluppo fiacco”.

Una condizione che il Rapporto descrive così: “Realismo vuole che si prenda atto di quanto la società italiana si sia in questi ultimi mesi rivelata fragile, isolata, in parte etero diretta”.
Una condizione, questa, che riflette e riproduce la condizione individuale di tanti italiani: “Rischiamo, paradossalmente, che le tensioni sociali diventino non effetto di divaricazione di interessi e gruppi, ma somma e sbocco di gente che vive “sola ma senza solitudine”: “sola”, in quanto prigioniera di riferimenti puramente egoistici e prevalentemente emotivi; “ma senza solitudine” perché non abbiamo la possibilità di guardarci dentro, di fare discernimento, di rapportarci a una qualsiasi lunga durata, sociale e magari esistenziale”.

Nell’aprire i lavori, Antonio Marzano, Presidente del CNEL, nell’esprimere il proprio apprezzamento per il 45° Rapporto, ha detto: “L’indice di reputazione dell’Italia è superiore all’estero rispetto all’interno. C’è da lavorare sulla coesione sociale, sui valori comuni, sulla famiglia e sulla qualità della vita”. Marzano ha fortemente sottolineato le carenze nel campo della formazione, al punto che anche la linea italiana è poco conosciuta dai giovani e non solo. “C’è traccia di un uso sconclusionato della grammatica anche negli atti parlamentari”, ha detto Marzano e ha portato ad esempio il linguaggio adoperato tra i giovani, per i quali l’italiano è quasi una lingua straniera. Dalle scritte sui muri e dal web ci sono esempi esilaranti: “Io e te 4 metri sopra il cielo, perché a 3 metri ci stanno molta gente”. E poi: “Q’anto ti amo”. “Mi ahi deluso”. “Sei la cosa più bella che abbia mai esistito”. “Sara ti amo da inpazzire”. E su un muro: “Lorgoglio non serve”. E qualcuno ha scritto accanto: “Ma l’apostrofo sì”. Scialla!

Autore: Redazione FNOMCeO

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