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Responsabilità medica – Individuazione della regola cautelare violata

Cassazione Penale Sentenza n. 31490/16Responsabilità medicaIndividuazione della regola cautelare violata – La Corte di Cassazione ha affermato che l’intero edificio della responsabilità per fatto colposo trova un suo essenziale caposaldo nell’accertamento della ricorrenza di una condotta trasgressiva di regola cautelare causalmente efficiente rispetto all’evento. La Corte rileva in particolare che allorquando si verifica un evento lesivo di beni giuridici l’accertamento giudiziario muove alla ricerca di una condotta, attiva o passiva, che possa esserne stata causa. Ove si rinvengano i segni di una ascendenza eziologica che riconducono all’azione o all’omissione dell’uomo, se l’indagine presuppone l’estraneità di una volontà di offesa, occorre verificare che l’azione rappresenti la violazione di una regola cautelare o che era prescritto un facere rimasto inattuato e che quel facere avesse il carattere di comportamento con funzione di prevenzione di quell’offesa che si è determinata.

FATTO: Con la sentenza n. 11103/12 la Corte di Appello di Roma ha riformato unicamente il trattamento sanzionatorio determinato dal Tribunale di Roma con la pronuncia emessa nei confronti di B.E., giudicato responsabile del decesso di C.M., cagionato per colpa eseguendo un intervento di asportazione di tessuto osseo dalla teca cranica in vista di un successivo intervento maxillo-facciale, riducendo la pena inflitta ad un anno di reclusione ed eliminando la condizione apposta alla sospensione condizionale della pena; quindi confermando ogni altra statuizione ed in particolare la condanna del B. al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili.

La vicenda oggetto del presente giudizio propone un limitato quadro fattuale non controverso. Il (OMISSIS) il C. veniva ricoverato alla clinica (OMISSIS), per un programmato intervento maxillo-facciale finalizzato a correggere gli esiti di un pregresso intervento chirurgico di asportazione di una cisti mandibolare odontogena mediante le revisione di alcune lacune ossee residue nella sede della pregressa cisti con contestuale ricostruzione del processo alveolare edentulo tramite innesto osseo prelevato dalla teca cranica (intervento cosiddetto di "calvaria"). Il Tribunale riteneva accertato che la causa della morte del C. fosse da rinvenire nella complicanza emorragica subdurale conseguente al predetto intervento di calvaria, avendo essa provocato danni tali da produrre una sofferenza vascolare ischemica temporo-mediale ed occipitale destra che, col passare delle ore, aveva aumentato le aree di sofferenza cerebrali sino a portare ad un fatale arresto cardio-circolatorio. La Corte di Appello, dal canto suo, anche sulla scorta di una perizia eseguita ex art. 603 c.p.p., ha escluso che al B. potesse essere rimproverato di non aver eseguito precedentemente all’intervento una TAC e, parimenti, di aver omesso di verificare la consistenza dei danni procurati al paziente dalla eseguita manovra chirurgica ed ha limitato la condotta colposa alla imperita esecuzione dell’asportazione del tassello osseo. Ad avviso della corte distrettuale, anche ove non si ritenga raggiunta la prova di un trauma diretto, e quindi della lacerazione corticale determinata dalle manovre chirurgiche del B., risulta incontestabile che l’eccessiva compressione della teca cranica (di consistenza piuttosto sottile, come emerso in sede di esame autoptico) esercitata sia nel disegnare lo sportello osseo sia nel sollevare ed asportare lo stesso, rappresentò un trauma indiretto cui conseguì la rottura di un vaso arterioso che a sua volta, nel lasso di tempo (varie decine di minuti) intercorso tra l’asportazione dello sportello osseo e la conclusione dell’intervento creò un vasto ematoma sotto durale.

Per il collegio territoriale la colpa dell’imputato consistette nel mancato utilizzo di quella particolare prudenza e perizia imposta dalla "nozione di comune esperienza nella scienza medica" che in persone di età avanzata lo spessore della teca cranica è generalmente inferiore a quello di soggetti più giovani, per cui l’operatore chirurgico deve tener conto delle prevedibili complicanze di un trauma indiretto determinato dall’uso delle strumentazioni chirurgiche. Il B., all’inverso, utilizzò oltre al "Piezorugey" anche un trapano e uno scalpellino.

DIRITTO: La Corte di Cassazione rileva che allorquando si verifica un evento lesivo di beni giuridici l’accertamento giudiziario muove alla ricerca di una condotta, attiva o passiva, che possa esserne stata causa. Ove si rinvengano i segni di una ascendenza eziologica che riconducono all’azione o all’omissione dell’uomo, se l’indagine presuppone l’estraneità di una volontà di offesa, occorre verificare che l’azione rappresenti la violazione di una regola cautelare o che era prescritto un facere rimasto inattuato e che quel facere avesse il carattere di comportamento con funzione di prevenzione di quell’offesa che si è determinata. È innanzitutto questo il fatto colposo: un’azione o un’omissione che concreta una violazione a regola cautelare. Solo se l’azione materialmente produttiva dell’evento abbia tale caratteristica potrà parlarsi di condotta colposa; diversamente l’evento sarà da ascrivere al caso fortuito, o alla forza maggiore, o alla condotta di un diverso soggetto. È agevole quindi concludere che l’intero edificio della responsabilità per fatto colposo trova un suo essenziale caposaldo nell’accertamento della ricorrenza di una condotta trasgressiva di regola cautelare causalmente efficiente rispetto all’evento (secondo i principi elaborati intorno all’art. 41 c.p.).

Costruito tale caposaldo l’indagine potrà condursi oltre, alla verifica della cd. causalità della colpa e poi della colpa in senso soggettivo. Prudenza, diligenza e perizia non sono vuote formule che basta evocare per risolvere il problema dell’accertamento della condotta colposa. Piuttosto sono concetti categoriali che nei singoli casi devono tradursi in puntuali indicazioni comportamentali, prodotto delle specifiche circostanze in presenza delle quali si svolge l’attività pericolosa. Con riferimento al caso di specie viene affermato che il B. non fu prudente nell’uso dello strumento. Ma non vi è, in alcuna delle sentenze, una puntuale descrizione dei parametri che rendono l’uso dello strumento più o meno prudente, per stare alla terminologia utilizzata dalla Corte di Appello. Peraltro, il vizio è ancor più radicale. L’ambiguità mantenuta a riguardo del tipo di strumento utilizzato conduce all’impossibilità in radice di individuare la regola cautelare violata.

Autore: Marcello Fontana - Ufficio Legislativo FNOMCeO

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