Sulla libera circolazione degli studenti dell’Unione europea nelle facoltà di medicina italiane. Nella interrogazione si rileva che il Consiglio di Stato recentemente ha accolto il ricorso di due studenti che, iscritti alla facoltà di medicina e chirurgia di Timisoara in Romania, avevano chiesto il trasferimento all’università di Messina. La loro richiesta era stata subordinata al superamento dei test di ammissione alla facoltà, così come prevede attualmente la normativa italiana. I giudici hanno dato ragione ai due studenti già iscritti in Romania ritenendo che la richiesta dell’università di Messina andasse contro le normative europee sulla libertà di circolazione. In Italia il numero degli studenti ammessi a frequentare la facoltà di medicina è rigorosamente sottoposto ad una programmazione in cui sono coinvolti il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, il Ministero della salute, le regioni e le singole facoltà di medicina per coordinare una serie complessa di fattori come ad esempio il fabbisogno complessivo di medici valutato su base nazionale, il potenziale formativo delle singole facoltà e le risorse disponibili per accedere successivamente alle scuole di specializzazione. Non appare priva di ambiguità la recentissima sentenza del Consiglio di Stato in Adunanza plenaria, nella quale si afferma che se uno studente di medicina iscritto in un’università dell’Unione europea decide di venire in Italia per proseguire gli studi non ha alcun obbligo di sottoporsi al test di ammissione previsto per iscriversi al primo anno. Si chiede quali iniziative di competenza intenda assumere affinché gli atenei in genere e le facoltà di medicina in particolare possano garantire quella che a tutti gli effetti è una loro specifica responsabilità, ovvero offrire qualità nella formazione a quegli studenti, che in virtù della normativa attuale hanno seguito il percorso previsto, rispettandone tempi e modi, e che ciò nonostante, si sentono continuamente scavalcati a causa di situazioni che rischiano di far saltare ogni possibile programmazione concordata nelle sedi referenti. Nella seduta della Commissione Cultura, scienza e istruzione del 29 ottobre 2015 interviene la sottosegretaria Angela D’ONGHIA che risponde all’interrogazione rilevando che in merito alla questione rappresentata dall’Onorevole interrogante si evidenzia che la posizione assunta dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca è stata, da sempre, ispirata ad una duplice finalità: il rispetto del numero programmato nazionale per l’accesso ai corsi di studio; evitare che comportamenti opportunistici di singoli determinassero una elusione delle procedure di selezione per l’accesso ai corsi di studio. Nella loro autonomia regolamentare, gli Atenei devono predisporre ed attuare un rigido e serio controllo sul percorso formativo compiuto dallo studente, con specifico riferimento: alle peculiarità del corso di laurea, agli esami sostenuti; agli studi teorici compiuti; alle esperienze pratiche acquisite; all’idoneità delle strutture e delle strumentazioni necessarie utilizzate dallo studente durante quel percorso, in confronto agli standards dell’Università di destinazione. Sempre nell’ambito della propria autonomia regolamentare, l’Ateneo determina anche i criteri con i quali i crediti riconosciuti si tradurranno nell’iscrizione ad un determinato anno di corso, sulla base del rispetto dei requisiti previsti dall’ordinamento didattico della singola Università per la generalità degli studenti, ai fini dell’iscrizione ad anni successivi al primo, con particolare riguardo all’eventuale iscrizione come «ripetenti» o all’ipotesi in cui lo studente abbia superato un numero di esami tale da non potersi ritenere idoneo che alla sua iscrizione al solo primo anno. Interviene in replica l’On. Paola Binetti che sottolinea “come l’accesso alle facoltà italiane di medicina sia un crinale molto delicato. Si assiste troppo spesso all’aggiramento dei test di ingresso, mediante l’iscrizione per uno o due anni a facoltà di altri paesi dell’Unione europea, come per esempio la Romania, con successivo trasferimento nelle università italiane. Se può comprendere il malcontento che serpeggia tra gli aspiranti studenti di medicina dovuto alla prevalenza nei quesiti dei test delle materie scientifiche rispetto a quelle sociali e umanistiche, trova però che abbandonare il sistema del numero chiuso sarebbe controproducente. Ribadito, con rammarico, che si va diffondendo in Italia il costume di accedere alla facoltà di medicina più per ricorso che per concorso, spera che in futuro alle circa 8000 immatricolazioni annuali in medicina possano corrispondere altrettanti contratti di specializzazione dei neo-laureati”.
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