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Plagio nell’ambito della ricerca medico-scientifica

L’ultimo caso eclatante di plagio nell’ambito della ricerca medico-scientifica ha per protagonisti un medico e una equipe di collaboratori, tutti italiani. Lo racconta il Fatto Quotidiano con un articolo del fisico e docente universitario Andrea Aparo Von Flue (vedi). Oggetto del furto intellettuale una ricerca clinica per verificare la co-relazione tra il livello di “colesterolo buono” (l’HDL) e la dieta di un gruppo di 160 individui. Un lavoro articolato, costato circa 5 anni per un totale di 4000 ore, che la rivista «Annals of Internal Medicine», dopo aver sottoposto al consueto processo di peer-review, rifiuta. La ricerca torna quindi ai mittenti, senza pubblicazione. Finché uno dei referees che aveva letto e valutato l’articolo, trascorsi sei mesi, decide di pubblicarlo a nome suo: testo, grafici e tabelle rimangono identici. A cambiare sono soltanto i nomi degli autori e gli istituti di riferimento: Michael Dansinger, docente di medicina e nutrizione nonché autore originario, diventa Carmine Finelli, mentre il Tufts Medical Center di Boston, dove la ricerca è stata condotta, diventa Center of Obesity and Eating Disorders di Chiaromonte, in provincia di Potenza (con la variazione geografica cambia anche la nazionalità dei pazienti, ora italiani).

È il medico statunitense ad accorgersi della truffa, leggendo per caso l’articolo su EXCLI («Experimental and Clinical Sciences Journal») e riconoscendolo indubitabilmente come proprio. Scoppiato il caso, la rivista procede con la ritraction, chiesta dallo stesso Finelli e accompagnata dalle sue scuse: “I dati dell’articolo ritrattato – scrive l’autore del plagio – sono in realtà relativi a un gruppo di pazienti di Boston […]. Siamo molto spiacenti per l’accaduto e chiediamo scusa alla comunità scientifica” (https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC5138495/).

Dansinger nel frattempo scrive al plagiario una lettera aperta (pubblicata dagli «Annals of Internal Medicine»). Dopo aver ricordato come il processo di peer-review (e con questo il progresso del sapere in ambito medico-scientifico, quindi la salute delle persone) dipenda integralmente dall’etica di chi fa ricerca, si chiede come mai un professionista sia disposto a rischiare di perdere tutto (reputazione, lavoro, carriera) appropriandosi di una ricerca altrui: la pressione del ‘publish or perish’? Il fatto che la cultura in cui opera sia permissiva e non consideri il plagio come una questione così grave? La bassa probabilità di essere scoperti? (vedi).

Altre domande senza risposta quelle poste dal Fatto Quotidiano: perché “le istituzioni di appartenenza non hanno preso provvedimenti nei confronti dei loro dipendenti truffaldini” o, se li hanno presi, non lo hanno reso noto?

Autore: Redazione FNOMCeO

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