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Infermiere professionale – Grave negligenza – Pregiudizio – Licenziamento per giusta causa

Cassazione Civile  – Infermiere professionale – Grave negligenza – Pregiudizio –  Licenziamento per giusta causa – La Corte di Cassazione ha affermato che il giudizio della Corte d’Appello circa la (non) gravità della negligenza ascritta non è rispettoso delle regole di comune esperienza. Una corretta lettura della norma induce a ritenere che il "pregiudizio all’incolumità delle persone o alla sicurezza degli ambienti deve collegarsi causalmente non già alla negligenza, seppur connotata da gravità, quanto piuttosto ai lavori o agli ordini i quali involgano, per il loro contenuto oggettivo, persone (e la loro incolumità) o gli ambienti (e la sicurezza). Si è voluta cioè differenziare la "grave negligenza" in ragione del settore in cui si esplica l’attività del lavoratore, a seconda che esso sia, per così dire, neutro o riguardante direttamente beni primari. In altri termini, la norma in esame rimarca l’indubbio diverso peso, sotto il profilo disciplinare, della grave negligenza del medico o dell’infermiere rispetto a quella, ad esempio, dell’usciere o dell’addetto alle pulizie. Sentenza n. 16336/15

FATTO: Con lettere del 15 febbraio 2013, la CIDAS Cooperativa Sociale a r.l. O.N.L.U.S. (di seguito solo CIDAS) ha contestato a M. G., suo dipendente a tempo indeterminato, con la qualifica di infermiere professionale – categoria D, livello D2 -, due addebiti: il primo, di essersi accinto ad effettuare un prelievo di sangue ad una paziente per la quale non era previsto, e di non averlo effettivamente eseguito per la pronta reazione della stessa; il secondo, di aver inviato presso il pronto soccorso di Imola una paziente accompagnata da scheda sanitaria e copia del documento di identità di altra paziente, causando ritardi nelle prescrizioni degli esami diagnostici e l’errata archiviazione degli esami eseguiti nel sistema applicativo. A seguito di procedimento disciplinare, il lavoratore è stato licenziato per giusta causa senza preavviso, con lettera raccomandata dell’8 marzo 2013. Il licenziamento è stato impugnato dal M. ai sensi dell’art. 1, comma 48, legge n. 92/2012, dinanzi al Tribunale di Bologna, che ha rigettato l’impugnativa con ordinanza. Proposto il ricorso in opposizione, anch’esso è stato rigettato dal Tribunale.4. La sentenza è stata reclamata dinanzi alla Corte d’appello di Bologna, la quale ha accolto il gravame e, per l’effetto, ha annullato il licenziamento; ha ordinato l’immediata reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro precedentemente occupato; ha condannato la CIDAS al risarcimento del danno subito dal lavoratore, liquidato in dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre agli accessori di legge, nonchè alla regolarizzazione della posizione contributiva e assistenziale del lavoratore; ha infine condannato la cooperativa al pagamento delle spese delle precedenti fasi del giudizio.Contro la sentenza la CIDAS propone ricorso per cassazione sostenuto da un unico articolato motivo, poi illustrato da memoria.Il lavoratore resiste con controricorso.

DIRITTO: Il giudizio espresso dalla Corte d’appello non appare coerente sul piano logico e non è rispettosa della volontà delle parti come espressa nella norma di cui all’art. 42 del C.C.N.L. Le sue considerazioni sia in ordine al giudizio di "gravità" della negligenza, che pure riconosce nella condotta del lavoratore, sia in ordine al concetto di "pregiudizio per l’incolumità", poste come presupposto della valutazione (negativa) della gravità della condotta del lavoratore, anche nel giudizio di proporzionalità, sono meramente assertive e non possono essere ricondotte ai canoni giuridici delle massime di esperienza, o dei fatti notori, come precisati dalla giurisprudenza di questa Corte. La Corte territoriale non ha valutato compiutamente la condotta del M., riguardante un trattamento non disposto dai sanitari, la cui esecuzione (a differenza di quanto assume, non senza una certa disinvoltura, la Corte territoriale, che ritiene "notorio" che un prelievo di sangue non possa compromettere la salute del paziente) non può essere considerato un fatto di per sé innocuo, trattandosi in ogni caso di un intervento sanitario che incide sull’integrità psico-fisica del soggetto, e per il quale è necessario che sussistano gli estremi, oltre al consenso dell’interessato. Per di più, il comportamento del M., relativo all’errata trasmissione della documentazione sanitaria e anagrafica, avrebbe potuto indurre i sanitari del pronto soccorso a scelte inappropriate, sia sotto il profilo diagnostico sia sotto quello terapeutico. Con particolare riguardo a questo secondo episodio, il giudizio della Corte circa la (non) gravità della negligenza ascritta non è rispettoso delle regole di comune esperienza, giacché non si è considerato che il pregiudizio all’incolumità della paziente non si è verificato non già perché la condotta del lavoratore fosse di per sé inidonea a procurarlo, quanto piuttosto perché vi è stata competenza e attenzione da parte del sanitario del pronto soccorso che, dopo circa un’ora dall’arrivo della paziente, si è reso conto dell’errore, richiedendo alla CIDAS l’esatta scheda sanitaria. Una corretta lettura della norma induce a ritenere che il "pregiudizio all’incolumità delle persone o alla sicurezza degli ambienti deve collegarsi causalmente non già alla negligenza, seppur connotata da gravità, quanto piuttosto ai lavori o agli ordini i quali involgano, per il loro contenuto oggettivo, persone (e la loro incolumità) o gli ambienti (e la sicurezza). Si è voluta cioè differenziare la "grave negligenza" in ragione del settore in cui si esplica l’attività del lavoratore, a seconda che esso sia, per così dire, neutro o riguardante direttamente beni primari. In altri termini, la norma in esame rimarca l’indubbio diverso peso, sotto il profilo disciplinare, della grave negligenza del medico o dell’infermiere rispetto a quella, ad esempio, dell’usciere o dell’addetto alle pulizie. E anche la scelta del verbo "implicare", la cui valenza è senz’altro più ampia di quella di altri verbi come "produrre" o "determinare", è sintomatica di una volontà delle parti di attribuire rilievo a fatti che di per sé, per la loro gravità e per la connessione con lavori o ordini incidenti sull’incolumità delle persone o sulla sicurezza degli ambienti, possano condurre, come necessariamente o come logica conseguenza, ad un pregiudizio. Da nessun dato testuale è dato di evincere che il pregiudizio dev’essere necessariamente attuale, ma è sufficiente che esso sia anche solo potenziale, purchè concreto e non meramente ipotetico. La Corte di Cassazione accoglie il ricorso.

Autore: Marcello Fontana - Ufficio Legislativo FNOMCeO

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