Verso Verona: una donna, tra filosofia e bioetica

Per avvicinarci ai lavori del workshop di Verona "Medicina, morale, Diritto: le sfide della Bioetica. Paradigmi a confronto", abbiamo intervistato una delle promotrici del convegno: si tratta di Sara Patuzzo, una laurea in Filosofia a Verona con grandi filosofe come Adriana Cavarero e Wanda Tommasi, oggi dottoranda in Bioetica all’Università di Torino con importanti bioeticisti come Maurizio Mori.

Dottoressa Patuzzo, come è passata dalla filosofia alla bioetica e alla deontologia medica?
Gli anni di studio alla Facoltà di Filosofia di Verona sono stati importanti nella formazione, soprattutto perché ho appreso dalle mie insegnanti come valorizzare le differenze, a partire da quella di genere, in una società dove le donne fanno fatica ad avere riconoscimenti, nonostante i molti passi avanti nell’emancipazione femminile. Credo che ancora molte donne abbiano difficoltà a investire in ambito professionale e a realizzarsi nel lavoro, oltre che nella famiglia. Ho scoperto la bioetica quando ho iniziato a cercare una materia che rendesse applicabile la mera riflessione teorica, una disciplina che coniugasse la dimensione della filosofia morale con le questioni concrete della clinica medica, legate alla biomedicina e alle biotecnologie. Dapprima di fronte a problematiche etiche ho cercato di maturare e sviluppare un mio pensiero autonomo e razionale poi mi sono resa conto che, nella prospettiva della “possibile paziente” non potevo considerare le valutazioni di tutti i soggetti in gioco, soprattutto dei medici. Per meglio capire il mondo medico mi sono così avvicinata allo studio dei Codici di deontologia medica.

Quali principi e regole cercava negli articoli e nelle linee guida del Codice di Deontologia medica rinnovato nel 2006?
Nel documento etico ufficiale della professione medica cercavo di trarre l’indirizzo morale della professione medica. Volendo rilevare il percorso dei medici intorno alla bioetica, l’evoluzione e i cambiamenti intervenuti nel tempo, non mi era sufficiente studiare il Codice deontologico attualmente in vigore.

È dunque tornata al Codice di Deontologia Medica di Sassari del 1903?
Sono diventata quasi una storica della deontologia riuscendo a rintracciare alcuni Codici elaborati in tempi precedenti a quello che, tradizionalmente, è ritenuto il primo Codice deontologico medico italiano, appunto il Codice sassarese del 1903. Si tratta del Codice professionale elaborato dalla Camera dei Medici dell’Istria nel 1897, e di quello sviluppato dalla Camera dei Medici di Trento nel 1900. Questi Codici si possono considerare italiani perché scritti da medici italiani in lingua italiana e perché frutto di contesti sanitari che avevano di fatto maturato una loro indipendenza dal governo imperiale centrale anche se politicamente quei territori al tempo facevano parte dell’impero austro-ungarico.
I miei studi si stanno ora concentrando su questi antichi documenti, dei quali si erano perse le tracce Comprendere la loro elaborazione ha un valore utile a definire lo sviluppo deontologico professionale, insieme specchio e modello ideale della pratica medica nelle sue diverse articolazioni.

Nella nostra società il pluralismo bioetico potrà a suo avviso, superando divisioni e differenze, diventare uno strumento di crescita?
Sui temi della bioetica il nostro Paese è caratterizzato in prevalenza dal dibattito tra il paradigma cattolico e quello laico. Quando tale dibattito si fa molto intenso, sembra essere impossibile giungere a posizioni mediane. Tuttavia, pur nella consapevolezza delle tante difficoltà esistenti, io sono convinta che si possa pervenire a conclusioni concilianti, ma solo a due condizioni, tra loro legate.

Quali?
Che il Legislatore si esprima mediante dispositivi “miti”, che non entrino troppo nel dettaglio dei problemi, e che quindi la biopolitica (intendendo con questo il termine il momento in cui lo Stato legifera sulla bioetica) sia davvero interprete di quel pluralismo morale che caratterizza la nostra società, e che io considero una tra le sue più grandi ricchezze. Inoltre credo che i giudizi morali di una parte non debbano prevalere sulla possibilità di optare per scelte bioetiche diverse.

Come articolerebbe una formazione in bioetica e deontologia?
Collaboro a Verona, con il Dipartimento di Sanità pubblica e Medicina di comunità, diretto dal Professor Domenico De Leo, all’insegnamento della materia bioetica e della deontologia medica all’interno dei percorsi di studi specialistici. Penso sia fondamentale che l’educazione alla bioetica coinvolga cittadinanze, non solo università e scuole, professioni sanitarie e legali. In questi anni a Verona, dove co-coordino la Sezione della Consulta di Bioetica abbiamo realizzato diverse iniziative, conferenze e convegni, soprattutto in ambito accademico ma sempre aperte anche ai cittadini. Anche con la Scuola di etica medica dell’Ordine dei Medici di Rimini ci occuperemo di insegnamento e della formazione.

Lei come ha cominciato a collaborare con la Consulta deontologica nazionale?
Ho conosciuto il Presidente Bianco, accogliente verso contributi umanistici, ed in particolare filosofici, pronto alla collaborazione con esperti di altri saperi quando ho proposto all’OMCeO torinese di essere Ente ospitante di un mio progetto di ricerca sulla deontologia medica in collaborazione con la Fondazione Giovanni Goria. Per le mie ricerche sui codici di deontologia medica sono stata inserita nella Consulta deontologica. Sono onorata di farne parte perché in questo modo ho la possibilità di vivere “dall’interno” le dinamiche, che conducono all’elaborazione, all’aggiornamento e alla modulazione delle norme che costituiscono il Codice. Vorrei contribuire nel mio piccolo allo sviluppo di questo processo dinamico, realizzando riflessioni sull’etica medica e la deontologia che possano tradursi nella prassi della vita e orientare i professionisti nel loro lavoro quotidiano.

Autore: Redazione FNOMCeO

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