Una lunga esperienza nel raccontare i fatti storici, un attenzione particolare allo stile narrativo asciutto e senza enfasi, la pazienza certosina dell’assemblaggio di immagini d’archivio con interviste e riprese realizzate nell’oggi: queste sono le principali caratteristiche del lavoro di Alessandro Varchetta, regista di tante produzioni Rai, a partire da La storia siamo noi. Non a caso, quindi, la Federazione ha affidato a lui la realizzazione del documentario per il Centenario della nascita degli Ordini dei medici. Ma come ha vissuto Varchetta la realizzazione di questo lavoro cinematografico? E’ stato semplice provare a narrare un secolo di professione medica? Glielo abbiamo chiesto: ecco le sue risposte.
Varchetta, lei è il regista di "Professione medico, 100 anni di storia degli Ordini dei medici": è stato facile raccontare la storia dei medici italiani?
Facile sicuramente no, però è stata una bella avventura, un esperienza di cui posso solo parlare bene, un lavoro che mi ha entusiasmato. Mi occupo da qualche decennio di documentario storico e ho lavorato in modo approfondito sugli anni Venti, sulla Seconda guerra mondiale, sulle stragi degli anni Settanta, su Sandro Pertini. Ma il mondo della medicina e della sanità era argomento per me assolutamente nuovo. Un argomento che mi ha subito colpito perché da subito ho intuito che raccontare la storia della sanità vuol dire narrare un pezzo essenziale della storia del nostro Paese.
Un argomento di cui non sapeva nulla, ha detto: come ha provato a entrarci dentro?
Come fanno tutti gli studenti: ho studiato. E ho capito che la medicina è l’unica scienza a base matematica che ha come oggetto un soggetto. E’ stata un’esperienza esaltante.
Dietro un documentario c’è sempre un importante lavoro di ricerca e documentazione. Che difficoltà ha trovato in questo caso?
Per un documentarista l’archivio non è mai sufficiente e le immagini utilizzabili per chi fa questo mestiere iniziano intorno al 1910. Così per raccontare la storia della sanità italiana ci siamo trovati di fronte a pochissimo materiale specifico, almeno fino agli anni 50. Invece per il periodo successivo alla nascita della tivù e ala sua espansione, diciamo a partire dagli anni ’54-’58, non c’è stato alcun problema.
Il film è un lavoro ricco e documentato: quando si è reso conto di avere in mano un lavoro importante?
Sono stato sicuro che ne poteva uscire un grande lavoro molto prima di iniziare a montare. Dopo le prime settimane di studio, interviste e ricerca storica ho intuito che avevo in mano una bella storia. E quando c’è la storia – che emoziona e che evoca – allora ci siamo. Poi è andato tutto per il verso migliore, anche perché se abbiamo costruito qualcosa di importante è anche grazie all’aiuto instancabile di tanti esperti, in particolare di Giorgio Cosmacini, un vero maestro, e Maurizio Benato…
La cosa più difficile da raccontare di questa professione per un “non medico”?
L’attualità, gli ultimi tre decenni, laddove etica e professione si mischiano e tante così diventano opinabili. Prima era un percorso scientifico lineare, oggi è tutto più complicato e quindi più difficile da esprimere.
E invece: la cosa più bella che si è trovato personalmente a scoprire?
Ho scoperto una disciplina che dovrebbe essere insegnata nelle scuole: la storia della medicina.Un ambito di contenuti, storie e valori così affascinante che dovrebbe essere reso pubblico per tutti.
Autore: Redazione FNOMCeO