Secondouno studio di coorte (vedi) pubblicato dal British Medical Journal e condotto presso il Dipartimento di Psichiatria della UCL (University College London), il 71% dei pazienti a cui sono prescritti farmaci antipsicotici non soffre di patologie psichiatriche ma di disabilità intellettiva con associati problemi comportamentali. Oltre alla necessità di ottimizzare la somministrazione dei farmaci, contenendola nei limiti della buona pratica clinica e delle linee guida supportate da evidenza scientifica, lo studio rileva, nelle conclusioni, l’esigenza di sviluppare e incrementare strumenti terapeutici alternativi all’intervento farmacologico. I dati, raccolti da un campione di oltre 33.000 persone residenti nel Regno Unito nell’arco di 15 anni, confermerebbero la percezione di eccessivo ricorso a farmaci psicotropi in ambiti, come quello della disabilità intellettiva, che non ne recano l’indicazione clinica.
Le criticità rilevate dallo studio sono ascritte sia agli effetti collaterali, quali rischio di diabete e obesità, sia al fatto che l’efficacia degli antipsicotici nel trattamento dei problemi comportamentali sia stata ampiamente dibattuta, in assenza di evidenza scientifica.
L’articolo sul tema pubblicato da Nature (vedi) cita a tal proposito uno studio comparativo condotto nel 2008 presso l’Imperial College London (vedi), secondo cui il contenimento dei comportamenti aggressivi, nei tre gruppi di disabili intellettivi trattati con Aloperidolo, Risperidone e pillole di zucchero, risultava nel 79% dei casi attribuibile al placebo.
L’articolo ricorda infine il processo per frode sanitaria che ha coinvolto la Johnson& Johnson proprio per l’inappropriata commercializzazione di Risperidol e altri antipsicotici, promossi per il trattamento di problemi comportamentali negli anziani con demenza senile e bambini: “usi non conformi” al farmaco, secondo la corte americana, e perciò costati al colosso farmaceutico un patteggiamento da 2,2 miliardi di dollari (vedi).
A cura di S.Boggio
Autore: Redazione FNOMCeO
