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Il rischio di sovradiagnosi negli screening oncologici

Le discussioni in ambito epidemiologico sulla prevenzione dei tumori non possono che partire da un’analisi puntuale della realtà sanitaria che faccia proprie le più aggiornate conoscenze che derivano dalla ricerca, tenendo conto del fatto che la comunicazione in campo sanitario svolge un ruolo decisivo. Generare confusione in questo campo significa infatti indurre il pubblico a non fare prevenzione: chi è confuso preferisce istintivamente non fare piuttosto di fare qualcosa che potrebbe risultare sbagliato. Questa conclusione la si può trovare in un interessante articolo sui rischi da sovra-diagnosi relativamente allo screening del cancro delle cervice uterina messo in Rete da NPR, National Public Radio, sul sito dell’organizzazione indipendente no-profit che riunisce più di 900 stazioni radio statunitensi ed ha sede a Washington (VEDI). Il titolo dell’articolo:“Lo screening oncologico può far aumentare il rischio per le donne?”.

Una domanda doverosa più che legittima perché un uso non corretto dello screening produce un eccesso di falsi positivi che potrebbero portare ad eseguire molti  inutili esami di II livello; questi, tra l’altro, non compenserebbero in modo proficuo le mancate diagnosi di tumore non mettendo in campo quella forma d’interventismo medico-sanitario che provoca una massa imponente di effetti collaterali negativi che rappresentano ormai, secondo molti studiosi, una sorta di “epidemia del 21° secolo”. Il principio di precauzione, che dovrebbe informare la Medicina nel suo complesso, da sempre dovrebbe proteggerci dagli effetti collaterali di pratiche inutili: anche se questi dovessero ridursi ad una crisi d’ansia causata dall’attesa di un referto.

Nello specifico occorre tirare in ballo il nostro rapporto profondo con il cancro e quello che questa malattia rappresenta in termini di immaginario personale e collettivo. Anche se la valutazione individuale e l’indicibilità della stessa parola cancro non sono più quelle di 50 anni fa, è rimasta tuttavia la tendenza diffusa ad affrontare “il problema” rimuovendolo, piuttosto che abituandosi a convivere con un nemico “addomesticato” dalle nuove conoscenze e dalle possibilità operative acquisite in ambito oncologico.

Questa situazione, ad esempio porta a fare confusione (soprattutto in ambito mediatico giornalistico) tra diagnosi precoce e screening oncologico offerto dal SSN per fasce di popolazione a rischio, secondo le più aggiornate e condivise evidenze scientifiche. Tra l’altro sono proprio queste evidenze scientifiche ad affermare che soltanto gli screening sono in grado di “ridurre la mortalità tumore-specifica”. Intervenire su un target di popolazione disorientata espone quei cittadini  a dei rischi evitabili: causati dalla tossicità delle terapie messe in atto, dalle possibili infezioni causate da biopsie inutili, dalle complicanze e alla mortalità post-operatorie e, in casi estremi, anche dal suicidio provocato da una malattia che di mortale… avrebbe soltanto l’autolesionismo indotto da convinzioni mediche errate.

Questi dati devono essere sempre tenuti presente anche se nel 2011 in Italia il cancro ha rappresentato la prima causa di morte tra gli uomini (34%) e la seconda fra le donne (25%). E se anche la morbilità e la mortalità dei tumori possono essere ridotti da alcuni screening oncologici, occorre essere consapevoli che gli screening non permetteranno comunque di azzerare la mortalità per questo lungo e complesso elenco di malattie. Gli screening oncologici possono però essere organizzati in forma sempre più efficace: ad esempio utilizzando il concetto di “value” (VEDI). Come si afferma in questo interessante spazio della Rete: “Le strategie di screening variano anche in relazione al loro “value” che, secondo la definizione dell’American College of Physicians (ACP), è determinato dai benefici in termini di salute rispetto ai rischi e ai costi che comporta: strategie ad “high value” producono grandi benefici rispetto a rischi e costi associati, mentre quelle dal “low value” restituiscono benefici enormemente più piccoli rispetto a rischi e costi. Questa definizione è in linea con quella originale di Michael Porter, secondo cui il “value” è il rapporto tra “outcome” di salute e costi.

Anche se le strategie di screening ad elevata intensità hanno l’obiettivo di massimizzare l’identificazione dei tumori, il value si ottimizza identificando il livello di intensità che garantisce il miglior profilo benefici/rischi e costi correlati). Di conseguenza, un programma di screening è considerato dal “low value” in due situazioni:

·         “underuse”: i soggetti per i quali i benefici superano chiaramente rischi e costi non vengono sottoposti a screening in maniera sufficientemente intensiva);

·         “overuse”: i soggetti sono sottoposti a screening in maniera troppo intensiva.

Come afferma Nino Cartabellotta, medico chirurgo e Presidente della Fondazione GIMBE (VEDI): “Bisogna considerare che la parola “cancro”, oggi utilizzata per descrivere una gamma sempre più ampia di lesioni, mantiene una enorme carica di paura, influenzando negativamente il pensiero e condizionando le scelte delle persone. Ecco perché di fronte a lesioni non invasive definite con termini che implicano l’inevitabilità del cancro, persone sane, improvvisamente etichettate come pazienti oncologici, sono pronte ad accettare terapie dai benefici incerti, ma dai rischi sicuri. Per interrompere questo circolo vizioso innanzitutto è necessaria una revisione della terminologia, che dovrebbe riservare la definizione di “cancro” e di “carcinoma” esclusivamente alle lesioni che hanno probabilità di evolvere se non trattate. In secondo luogo, medici, pazienti e cittadini dovrebbero acquisire una maggiore consapevolezza non solo dei vantaggi, ma anche dei potenziali rischi della diagnosi precoce in oncologia, al di fuori degli screening organizzati. Infine, è indispensabile arginare la percezione professionale e sociale, istintivamente molto attraente, che in oncologia la diagnosi precoce costituisce sempre e comunque la migliore opzione per tutte le persone”.


Fonte: www.torinomedica.com

Autore: Redazione FNOMCeO

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