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Etica, Diritto, Deontologia: i pilastri della società

Si tratta della prima riflessione completa ed articolata, tra innovazione e criticità, che proviene dall’esterno della Professione. Già a pochi mesi dalla sua proclamazione si è reso chiaro che questo nuovo testo codicistico interessava studiosi di diverse discipline, dal diritto alla politica, dalla linguistica alla filosofia fino all’arte. (vedi) “Il codice deontologico – afferma nell’introduzione Elisabetta Pulce– è progressivamente uscito da una dimensione meramente interna alla categoria professionale e, accanto alle funzioni tradizionali della deontologia medica, ha assunto nuovi potenziali ruoli come fonte di disciplina nell’ambito del biodiritto. Nel silenzio o nei ritardi del legislatore italiano, il Codice di deontologia medica ha rappresentato, e tuttora rappresenta, insieme ai principi costituzionali, una delle poche discipline di riferimento, anche in questioni particolarmente delicate e spinose, dove il diritto non può arrivare”. Ma il rischio di una autoreferenzialità, o di una chiusura corporativistica, è molto grande. Per tale ragione – continua Elisabetta Pulce-  la ricostruzione dei rapporti tra codice deontologico e diritto (ampiamente inteso, comprensivo quindi di tutte le sue componenti, dalla legge, alla Costituzione, dalla normativa sovranazionale e internazionale, alla giurisprudenza) è molto controversa, anche rispetto agli esempi che emergono dall’analisi comparata di altri ordinamenti. Dal punto di vista strettamente formale, la deontologia rimane quindi uno strumento interno alla categoria professionale.

“Questo nuovo codice – spiega Maurizio Benato nel suo intervento- si presenta non solo come un monito forte verso le istituzioni e la società nel suo complesso ma anche come una affermazione solenne e priva di equivoci sul fatto che la professione è in grado di cogliere i mutamenti di pensiero nella società che declina la pratica medicina. Un monito al potere legislativo, in sintonia con la costante giurisprudenza costituzionale, secondo il quale la regola di fondo dell’esercizio professionale poggia indiscutibilmente sulla autonomia nella responsabilità del medico nonostante le tante prevaricazioni politico-amministrative sulla realtà clinica degli ultimi anni”
Il carattere è quindi extragiuridico. Non si deve però certo abusare – continua Benato- del significato della deontologia in tutte le sue accezioni come volerla mettere al di sopra di tutto, quando invece, la deontologia è l’ipotenusa di un triangolo che unisce la pratica e la teoria. È il collante che coadiuva il medico nelle scelte da operare e nei comportamenti da tenere nella prassi; una funzione squisitamente coadiuvante e mai di sostituzione del pensiero morale proprio del medico. La norma deontologica diventa quindi un linguaggio che intepreta il rapporto tra Professione e contemporaneità.

In questo senso allora questo Codice tenta per la prima volta di innestarsi nella storia, con un lingua viva, una lingua di tutti. Dal punto di vista degli storici della lingua che hanno analizzato il lavoro, il testo si è dato il mandato di unire le due facce della medicina, mettendo insieme due registri che nella storia della comunicazione clinica sono sempre stati distanti, quando non ossimorici: lingua del medico e lingua del paziente o persona assistita. La prima volta cioè che un testo codicistico entra nel dibattito culturale esterno alla Professione, ribadendo però quell’identità normativa propria e autonoma.

(Vai all’articolo della Rivista)

Autore: Redazione FNOMCeO

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