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Un nobel per la medicina che è un invito a coltivare la ricerca di base e la riflessione filosofica sulla scienza

Il Premio Nobel 2017 per la Medicina è stato assegnato il 2 ottobre scorso agli americani Jeffrey C. Hall, Michael Rosbash e Michael W. Young per la scoperta dei meccanismi biomolecolari che determinano i ritmi circadiani in tutti gli organismi viventi: siano essi piante o animali, uomo compreso.
Che gli organismi viventi sincronizzassero alcuni eventi fisiologici fondamentali per il mantenimento in vita sull’alternanza del giorno e della notte è un rilievo sperimentale antico e, forse proprio per questo, per secoli avvolto da un’aura di mistero che in qualche caso venne anche considerata sospetta: era infatti possibile considerarla un’eredità della lunga era mitico-magica-alchemica che aveva caratterizzato la Medicina prima di abbracciare il Metodo Scientifico.

Nel ‘700 un astronomo amante delle piante (Jean Jacques d’Ortous de Mairan) aveva scoperto che le foglie della mimosa si chiudono all’inizio della notte e che quest’attività era regolata da un meccanismo cronologico interno automatico, perché l’apertura e la chiusura delle foglie avviene anche se la pianta è tenuta al buio. Questo curioso meccanismo fisiologico (che nel frattempo aveva avuto conferma della sua esistenza anche in molte altre specie animali, insetti e uomo compreso), rimane una particolarità misteriosa fino a quando iniziano delle ricerche specifiche sulla Drosophila melanogaster per tentare di scoprire il meccanismo biologico responsabile di quella “curiosità”.

L’avvio di queste ricerche trasforma lo studio e la valutazione clinica dei ritmi circadiani dell’uomo in una sorta di interesse biomedico di moda proprio negli anni ’70 dell’altro secolo. Ci vorranno una decina di anni per chiarire il meccanismo, di tipo genetico, e qualche ulteriore decennio per vedere premiate quelle ricerche sui moscerini della frutta, scelti soltanto perché sono da decenni uno dei modelli sperimentali animali più usati in laboratorio  e (vedi). Nel frattempo grazie a questi studi iniziati quasi tre secoli fa, siamo riusciti a migliorare ad esempio molte terapie farmacologiche che interagiscono con il nostro orologio biologico, abbiamo iniziato anche a capire qualcosa del sonno e a considerare il “jet lag” conseguente ai viaggi aerei intercontinentali un problema vero di salute e non un’altra semplice curiosità.

I media, in questi giorni, hanno quasi universalmente dato rilievo all’importanza dei cicli circadiani e al loro impatto sulla salute umana senza in genere preoccuparsi troppo di dar conto delle motivazioni scientifiche dell’assegnazione del Nobel, che invece sono importanti (vedi). Chiarito che l’orologio biologico interno sincronizza la fisiologia dei viventi con le attività che si susseguono nell’arco delle 24 ore (alimentazione, attività e riposo), anche per mezzo del rilascio di molecole biochimiche endogene in grado di modificare ad esempio pressione sanguigna e temperatura (negli animali superiori), l’assegnazione del Nobel 2017 per la Fisiologia e la Medicina è avvenuto per la scoperta di come questo può avvenire: in altre parole non si è voluta premiare la scoperta del tempo ma dell’orologio che il tempo misura.

Hall e Rosbash negli anni ‘80 hanno isolato un gene chiamato Period (PER) responsabile dell’attivazione dell’orologio interno in tutti i viventi. Questi due ricercatori hanno anche dimostrato che la proteina espressa dal gene PER si accumula nelle cellule durate la notte e viene degradata durante il giorno. Nel 1994, Young ha identificato un secondo gene chiamato Timeless (TIM), che codifica una proteina che legandosi a quella PER, funziona da “carrier”, aiutandola cioè a penetrare nel nucleo delle cellule.

La prestigiosa testata culturale americana The New Yorker, al di là dell’omaggio all’evidente e intrinseca importanza scientifica della scoperta, ha voluto vedere nell’assegnazione di questo Nobel anche un riconoscimento al valore assoluto che riveste la ricerca di base nel produrre il materiale che sarà poi utilizzato dalla ricerca applicata (vedi).

In questo articolo si nota molto acutamente che attraverso degli studi condotti sul moscerino della frutta si è arrivati ad un risultato clamoroso per Biologia, la Zoologia e la Medicina in tutte le sue declinazioni e specializzazioni sia in ambito umano che veterinario. E l’autore si domanda chi oggi accetterebbe il rischio di investire risorse proprie (o, peggio, se di natura pubblica date in amministrazione) in un’impresa simile. Pochi o pochissimi a tutte le latitudini, perché pressati contemporaneamente da due atteggiamenti culturali che, presi singolarmente potrebbero essere anche considerati virtuosi, ma che praticati contemporaneamente conducono alla paralisi se non all’annichilimento: quella del risparmio e della ricerca del risultato immediato ad ogni costo.

In un periodo di crisi come quella che da quasi un decennio stiamo vivendo la cultura del risparmio è obbligatoria più che strategica. Ma questa capacità di gestire in modo il più possibile ottimale le risorse non può diventare un valore assoluto al quale sacrificare obiettivi, speranze, sogni.

Questo vale anche per cultura del risultato che permette di non avventurarsi in strade senza sbocco ma che, se diventa valore assoluto, porta a derive consumistiche (in epoca di abbondanza di risorse) o all’impoverimento senza fine della qualità delle attività intraprese in epoca di “vacche magre” (vedi).

Questa visione della ricerca scientifica può apparire anche distante dai problemi reali che, soprattutto quella biomedica, si trova a gestire. L’appello del New Yorker potrebbe sembrare quindi una non indispensabile deriva filosofica di atteggiamenti tanto comuni che sarebbe anche difficile inquadrarli come “il problema dei problemi”. Può essere utile ricordare però che la maggioranza delle scoperte scientifiche più importanti sono state fatte per caso e che la ricerca di base è il terreno di cultura migliore perché quest’attitudine alla “serendipity” (vedi) continui a dare frutti. Per quanto riguarda la vera o presunta deriva filosofica dell’analisi del problema, c’è da dire che si tratta un modo di analizzare la realtà sempre più accettato persino nell’ambito delle riunioni dei consigli di amministrazione di multinazionali, dove i filosofi sono una presenza sempre più frequente.

Autore: Redazione FNOMCeO

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