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Contro le mutilazioni genitali femminili: conoscere per capire

Pensare che le Mutilazioni genitali femminili (Mgf) siano una realtà distante dall’Italia in senso geografico e culturale è un luogo comune da contrastare più che da sfatare. Come è da contrastare l’opinione che non ci possa opporre verso questa pratica rispettando, reciprocamente e contemporaneamente, l’appartenenza a culture diverse. Anche da un punto di vista numerico il problema è tutt’altro che trascurabile: si stima che al 2016, nelle comunità di migranti residenti in Italia, fossero tra le 46 mila e le 57 mila le donne straniere maggiorenni con mutilazioni; a queste si aggiungerebbero le donne richiedenti asilo e le cittadine italiane maggiorenni di origine straniera, complessivamente tra le 11 mila e le 14 mila.

Un interessante e documentato articolo della testata Galileo (vedi) fa il punto su questo capitolo di una ritualità che vìola fisicamente e socialmente le donne e ribadisce (rendendola visibile) una loro “inevitabile” subalternità all’interno di una cultura maschilista ritenuta “naturale”. Questa subalternità si traduce in una possibilità di controllo remoto, totale ed esclusivo della vita sessuale femminile che si manifesterà soltanto come dolore fisico e psichico e malattie non di rado mortali. Ma l’opposizione militante verso queste pratiche tribali antiche e di origine non ancora completamente condivisa dagli antropologi, si sta faticosamente facendo strada accanto al dolore, alla malattia e all’umiliazione ritualizzata. È fondamentale capire le ragioni culturali più profonde di questa sopravvivenza arcaica per aiutare i movimenti di opposizione femminile attivi in Somaliland, Kenya ed Etiopia e far nostre, anche alle latitudini nordiche in cui viviamo, modalità di opposizione condivise e magari potenzialmente più efficaci della “semplice” (ma anche inevitabile) repressione attuata dalle Legge.

Le mutilazioni genitali femminili sembrano avere origine nell’Antico Egitto, anche se la maggioranza dei miti dalle quali originano non sono conosciuti in Occidente. Questa pratica inaccettabile è ancora oggi patrimonio culturale di 30 Paesi. L’inaccettabilità deriva anche dal fatto che tali pratiche si presentano come espressioni di appartenenza religiosa alle quali non è lecito opporsi: ma nessuna religione le ha mai autorizzate.
La supposta inevitabilità della pratica (alla quale sono soggetti contemporaneamente vittime e autori di queste violazioni rituali) è molto ben descritta in un passaggio dell’articolo di Galileo proposto in lettura: “Spesso le donne non si identificano come portatrici di una Mgf e vi si riferiscono in termini di pratica naturale, molto diffusa nel proprio paese. Ne parlano come di una “tradizione” di cui dicono però, di non aver compreso il significato socio-culturale”, afferma Maria Concetta Segneri, antropologa dell’Istituto nazionale migrazioni e povertà (Inmp, Istituto Nazionale per la promozione della salute delle popolazioni Migranti ed il contrasto delle malattie della Povertà, http://www.inmp.it.) di Roma”.

“Accade –continua Galileo- che queste donne riferiscano di aver scoperto solo nel corso dello screening ginecologico che la fisionomia dei propri organi genitali differiva da quella delle donne provenienti da altri paesi. La scoperta che esistono donne con genitali integri e la conoscenza del quadro normativo all’interno del quale essa è definita, a volte ha generato in loro confusione e isolamento. Alcune si sono sentite tradite dai loro genitori, familiari e amici, dichiarando sentimenti di rabbia e frustrazione.

Nel poliambulatorio dell’Inmp è stato osservato che le donne che hanno vissuto la pratica dai 6 anni ai 19 ne parlano come di un’esperienza traumatica, ma è avvenuto anche che fosse riferita come un evento positivo, un rito di iniziazione desiderato e festeggiato”, continua Segneri. “Sono stati osservati anche casi ove le donne hanno riferito violenze conseguenti il rifiuto di sottoporvisi, forti pressioni sociali e discriminazioni da parte delle loro famiglie allargate e del loro gruppo sociale, eventi che, alla fine, le avrebbero spinte a lasciare il proprio paese”.
Come si diceva è necessario opporsi a queste pratiche senza emettere giudizi culturali: non per un vacuo e sospetto senso di buonismo che non cancellerà mai le colpe del colonialismo e dello schiavismo praticato fino a 150 anni fa. Semplicemente non dovremmo mai dimenticarci di quanto accade a casa nostra, oggi, in termini di violazioni di diritti individuali e collettivi, per non parlare della variabilità di reati anche gravissimi contro la persona (femminicidio, pedofilia, violenza sessuale, manifestazioni di intolleranza e razzismo…).
Il rispetto (ben di più della tolleranza) favorisce il dialogo e davvero può aiutare queste donne nel processo faticoso di integrazione in un sistema di valori che è totalmente differente da quello da cui provengono e a volte da noi stessi disatteso.

(Fonte: www.torinomedica.com)

Autore: Redazione FNOMCeO

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