Alcune domande a Sergio Bovenga

L’Ufficio Stampa ha anche rivolto alcune domane a Sergio  Bovenga, Presidente OMCeO Grosseto e Clinical Risk Manager  dell’AUSL 9 di Grosseto. Eccole di seguito.


Come potrebbe essere migliorata la normativa italiana con l’obiettivo di migliorare la sicurezza delle cure e gestire al meglio il rischio clinico?


Già da qualche anno, i medici italiani stanno intraprendendo un percorso nuovo e propongono, in accordo con le più avanzate esperienze internazionali, un approccio diverso al tema dell’errore: quello della conoscenza delle cause e non quello della ricerca pregiudiziale delle colpe. Lo scopo è fare in modo che l’errore in medicina diventi sempre meno frequente, grazie ai correttivi che si possono imporre al sistema, in ragione della conoscenza delle circostanze che lo hanno reso possibile.
Questo approccio, oltre che fare i conti con un difficile quanto radicale cambiamento culturale di tutti i professionisti, non è sufficientemente ‘tutelato’ nell’ambito del nostro attuale ordinamento giuridico.


Vale a dire?


Naturalmente, nessuno chiede trattamenti di favore in relazione alle responsabilità (che sono e restano individuali); ciò che sarebbe utile è invece una tutela giuridica degli  strumenti (segnalazioni volontarie, rassegne  M&M, audit ecc.) attraverso i quali la professione studia i propri insuccessi per mettere le soluzioni a disposizione dei cittadini. Ecco come la tutela degli strumenti (in sostanza una loro inutilizzabilità ai fini di un procedimento giudiziario) si traduce in un beneficio per gli ammalati.


Come innescare questo processo virtuoso?


E’ necessario, almeno in parte, un intervento normativo che separi materialmente i dati utilizzabili da quelli non utilizzabili. Esistono una serie di dati obbligatori, quelli contenuti nella cartella clinica, che giustamente devono essere utilizzabili in giudizio. Accanto a questi dati ne servono altri, servono percorsi e canali di raccolta e registrazione di informazioni che devono essere svincolati dalla cartella clinica, non devono essere utilizzabili e quindi devono essere resi anonimi.
Un’altra riflessione riguarda la ovvia considerazione che la sicurezza ha un costo, anche se in realtà si tratta di un vero e proprio investimento per i cittadini, i professionisti e le Istituzioni. Pertanto, bisogna stare molto attenti quando con l’intento, sia pure nobile, di evitare gli sprechi e di razionalizzare la spesa, si finisce – magari inconsapevolmente – per andare ad incidere sulla qualità dei servizi. Di questo si deve tenere conto sia quando si acquista una apparecchiatura (ancora oggi, ad esempio, non sono previste prove di ergonomia e usabilità da parte degli utilizzatori) sia quando si organizzano le risorse umane, compresa la valutazione del ‘contesto’ in cui si esercita la professione.


Vuole chiarirci meglio questo aspetto?


I tempi, i modi ed i carichi di lavoro devono certamente entrare a fare parte di questa valutazione complessiva. Infatti, come ci insegna Reason, se si isola l’individuo dal contesto nel quale l’errore si è verificato, non saranno mai individuate le condizioni che generano gli errori nell’ambiente di lavoro e non si potrà apprendere la maggior parte degli insegnamenti che derivano dall’evento.


Si potrebbe intervenire anche per via legislativa? Qual è il suo pensiero?


Vi è la necessità di promuovere iniziative, di carattere nazionale e/o regionale, finalizzate ad assicurare che la responsabilità civile per danni a persone causati dal personale sanitario medico e non medico (ove questa avvenga nelle strutture sanitarie pubbliche e/o private accreditate) venga posta a carico delle strutture stesse, comprese le attività svolte in forma di libera professione intramuraria.


Ciò basterebbe a dirimere le normative?


L’altra metà del cielo di tale normativa dovrebbe essere rappresentata dalla adozione (normata da apposita legge) di misure organizzative atte a garantire la definizione stragiudiziale delle vertenze inerenti  danni derivati (in via di presunzione) da prestazioni fornite da operatori del Servizio Sanitario Nazionale, con la esplicita esclusione della possibilità di utilizzare gli atti acquisiti e le dichiarazioni della procedura di conciliazione come fonte di prova, anche indiretta, nell’eventuale successivo giudizio.

Autore: Redazione FNOMCeO

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