Ricerca su esami e procedure non necessari – Le riflessioni di Guido Giustetto

La ricerca FNOMCeO-Slow Medicine su esami, trattamenti, procedure non necessari, di cui sono stati presentati di recente i risultati (vedi), ci porta a riflettere su una questione molto attuale del dibattito politico-sanitario: il ruolo delle linee guida.

La premessa da cui partirei è cosa significa costruire una linea guida: un lavoro molto serio e complesso. Il ruolo che assumono le linee guida nell’attuale proposta di Legge, per come è adesso al Senato, è piuttosto discutibile.

Il primo motivo è legato al fatto che queste linee, per essere attendibili, richiedono un grande lavoro, multidisciplinare, che implica un tempo lungo con costi molto elevati. Per dare solo un’idea: costruire una linea guida da zero può voler dire lavorare un anno con delle competenze che non sono solo quelle tecnico scientifiche (cioè sui contenuti della disciplina specifica dell’argomento) ma anche metodologiche.
Il testo di Legge va senz’altro letto con attenzione e intelligenza critica, ma da come è scritto si potrebbe intendere che d’ora in poi saranno le Società scientifiche a produrre queste linee, che verranno inserite nel sistema Nazionale linee guida e pubblicate sul sito dell’Istituto Superiore di Sanità. E allora va detto, per correttezza, che spesso non in tutte le società scientifiche sono presenti le competenze specifiche e adeguate, e inoltre non dobbiamo dimenticare che esistono già Istituti scientifici internazionali – come per esempio il NICE inglese – che hanno scritto linee guida, regolarmente riviste e diffuse e che hanno molto materiale che può essere utilizzato.

In secondo luogo, sullo stesso tema, ci possono essere più società scientifiche che potrebbero scrivere una linea guida. Prendiamo un problema come esempio: la lombalgia. A chi affidare la stesura di una linea guida? Ai reumatologi, ai fisiatri, agli ortopedici, alla società dei medici generali, ai radiologi…
Allora bisogna chiedersi: quale è la linea seguire? Forse sarebbe più utile fare un lavoro di ricerca bibliografica sulle linee guida esistenti e procedere con un intervento di adattamento progressivo, con l’idea di muoversi in una comunità scientifica internazionale. In questo progetto la Federazione degli Ordini dei Medici potrebbe avere un ruolo importante, insieme all’Istituto Superiore di Sanità e alle stesse società scientifiche. L’obiettivo dovrebbe essere una valutazione dell’esistente, allargando i confini della ricerca.
Ci sono poi ancora due osservazioni importanti: le linee guida si fondano su studi di base che selezionano i pazienti che indagano, in particolare per lo studio dei farmaci ma anche nel campo diagnostico. Difficilmente nei gruppi che vengono studiati si arruolano pazienti complessi, cioè per esempio pazienti anziani, o comunque le tipologie di paziente che noi vediamo nella realtà. Per questa ragione, quando parliamo di linee guida, dovremmo ricordarci che gli studi si basano su pazienti che potremmo definire  ”speciali” proprio perché molto selezionati: meno rappresentate le donne, difficilmente presenti gli ultraottantenni, e raramente ci sono pazienti pluripatologici e con pluriterapia. Di questo aspetto bisogna poi tenere conto se il riferimento per il Giudice, e per il suo consulente tecnico d’ufficio, è proprio la linea guida: cioè bisogna sapere, e ricordarsi, come è stata costruita. E comunque alla fine è necessario bilanciare quanto viene scritto nella linea guida con il singolo caso concreto, lasciando al medico l’autonomia della decisione presa in quella precisa circostanza.

Alcuni dati dello studio ci dicono che il 35% dei medici prescrive un test, trattamento o procedura non necessaria per avere una assoluta sicurezza; il 33% per il timore di vicende legali. Il 16% per avere più informazioni per un’autoassicurazione. Quali potranno essere i cambiamenti futuri in tema di medicina difensiva, anche alla luce di un clima culturale che forse sembra temperare un po’ un diffuso atteggiamento di sfiducia che ha dominato per lungo tempo?

I dati FNOMCeO sulla medicina difensiva vanno letti in modo corretto: la ricerca non ha infatti valutato la scelta del medico di fare alcuni accertamenti per maggior sicurezza sulla situazione clinica, ma ha considerato l’altro aspetto della medicina difensiva cioè gli esami che il paziente chiede e che se il medico non condivide, può decidere di prescrivere o meno. Quello che comunque emerge in modo evidente da  parte dei medici è buon livello di sicurezza nell’indirizzare e consigliare il paziente ad evitare procedure inutili.

Dei dati generali della ricerca emerge poi un aspetto fondamentale: i medici chiedono di essere aiutati in campi in cui la formazione universitaria e la formazione medica continua non hanno dato grande supporto. Il primo è l’ambito della comunicazione: cioè per negare il test al paziente bisogna saperglielo “comunicare”, bisogna saperlo dire e spiegare, ascoltare le sue motivazioni e spiegare le nostre. Un altro aspetto importante, e strettamente connesso, è l’informazione: avere certezza dei dati scientifici per saper decidere se un test serve o meno. Soprattutto sui trattamenti sui farmaci i medici ricevono, da fonti diverse, informazioni contrastanti che non sempre inducono alla stessa scelta, e da qui si generano situazioni di dubbio e incertezza.

C’è un terzo “bisogno” che emerge in maniera indiretta da questi dati: la necessità di avere degli strumenti semplici per spiegare al paziente alcuni concetti complessi come ad esempio il concetto di probabilità. Noi medici, e a maggior ragione i pazienti, siamo abituati a pensare che una cosa è 0 o 100, un antibiotico fa bene o fa male, va usato o no; in realtà noi sappiamo, ragionando in maniera dettagliata, che un antibiotico è utile in quel singolo caso ma non al 100%, avrà una possibilità di funzionare al 70%, ed è inevitabile che possa avere degli effetti collaterali. E questo stesso concetto di probabilità si applica anche alla capacità di un test di fornire una diagnosi. Il concetto di probabilità dovrebbe poter essere spiegato in modo semplice con immagini, depliant, visual… Molto interessante ad esempio è un metodo attualmente in uso che propone una tavola con delle icone colorate in cui quelle verdi indicano un paziente senza problemi, quelle rosse un paziente con un problema, e le gialle quello con probabilità di sviluppare patologie. Un ultimo aspetto centrale quando si discute di tutela della salute riguarda l’educazione dei cittadini. Cioè credo sia necessario che ricevano una adeguata informazione e una corretta educazione sui temi legati alla loro salute in modo che possano poi formulare domande chiare al proprio medico, anche se noi medici non siamo abituati a ricevere questa tipologia di domanda, cioè diretta, chiusa e precisa. Io per esempio vorrei che i miei pazienti fossero abituati a chiedere: e se non facessi niente, cosa capiterebbe? C’è qualche altra alternativa meno invasiva?

A mio avviso sarebbe utile attivare sul piano della comunicazione una campagna pubblicitaria sull’uso corretto delle indagini diagnostiche anche se si tratterebbe di una prova difficile perché molti cittadini potrebbero pensare che la finalità è di risparmiare e non di diffondere un’informazione corretta su ciò che è appropriato e ciò che non lo è. Il messaggio da dare sarebbe ancora una volta un “prodotto di semplicità comunicativa”: interventi inutili non migliorano la salute.

Autore: Redazione FNOMCeO

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