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Responsabilità dell’infermiere nella somministrazione della terapia medica

Cassazione Civile Sentenza n. 7106/16 – Sulla responsabilità dell’infermiere professionale circa la somministrazione della terapia medica – Nel provvedere alla somministrazione farmacologica, l’infermiere, lungi dall’esaurire il proprio apporto nella mera esecuzione materiale della terapia prescritta, proprio perché in possesso di professionalità e competenze specifiche, non può esimersi, ove si presti il caso, dalla opportuna interlocuzione con lo stesso medico, al fine di ricevere conferma della correttezza della prescrizione.

FATTO E DIRITTO: A seguito del decesso di C.P. – avvenuto il 30 agosto 1998 presso l’Ospedale di Carrara (dove il medesimo C. era stato ricoverato per un ictus cerebrale) a causa di un’iniezione di cloruro di potassio praticatagli dall’infermiera F.A. e disposta dal medico D.G. – B.M., C. M., C.A. e C.M.L., rispettivamente coniuge e figli del defunto, convennero in giudizio il D. e la ASL n. (OMISSIS) per sentirli dichiarare responsabili della morte del proprio congiunto e condannare, in solido tra loro, al risarcimento dei danni patiti. In ordine alla "problematica relativa alla possibilità, in capo all’esecutore, di disattendere o sindacare prescrizioni terapeutiche impartitegli dal personale medico gerarchicamente superiore", ovvero "se l’infermiere professionale è ‘obbligato’ ad eseguire una prestazione medica errata", la Corte territoriale osservava, anzitutto, che, a mente dell’art. 2 del DPR n. 225/74  (recante il mansionario generale dell’infermiere), tra le attribuzioni dell’infermiere professionale rientrava "la somministrazione dei farmaci prescritti", là dove, poi, l’art. 1, comma 3, lett. d), del D.M. n. 739/94 (recante il regolamento sull’individuazione della figura e del relativo professionale dell’infermiere), stabiliva che l’infermiere "garantisce la corretta applicazione delle prescrizioni diagnostico-terapeutiche". Sicché, il giudice di appello riteneva che l’infermiere avesse "una possibilità di delibazione" rispetto alla prescrizione medica "di per se stessa erronea o incompleta", con "l’onere di adeguarne l’esecuzione ai protocolli medici vigenti e che egli abbia la possibilità di conoscere". Infatti, la responsabilità dell’infermiere come correttamente rilevato dalla Corte di appello si correla alla condotta di somministrazione dei farmaci e di applicazione diagnostica-terapeutica in base, però, alle necessarie previa indicazioni del medico, il quale soltanto può individuare e disporre la terapia da praticare al paziente. Tuttavia, nel provvedere alla somministrazione farmacologica, l’infermiere, lungi dall’esaurire il proprio apporto nella mera esecuzione materiale della terapia prescritta, proprio perché in possesso di professionalità e competenze specifiche, non può esimersi, ove si presti il caso, dalla opportuna interlocuzione con lo stesso medico, al fine di ricevere conferma della correttezza della prescrizione. Sarà, poi, l’indagine di fatto, rimessa alla delibazione del giudice del merito, a riconoscere quale debba essere, nel Caso contingente, la portata effettiva del comportamento esigibile dall’infermiere professionale in relazione ai contenuti della terapia medica prescritta ed alle cognizioni pratico-scientifiche possedute in rapporto ad essa.

Autore: Marcello Fontana - Ufficio Legislativo FNOMCeO

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