Ilaria Pagni/2: processo alla conciliazione

Ed eccoci alla seconda puntata dell’intervista con Ilaria Pagni. Oggi l’Ufficio Stampa chiede alla professoressa di farsi avvocato difensore della Conciliazione in un ipotetico processo. Quali sono i benefici di questo metodo di risoluzione dei conflitti? Quali le criticità ancora irrisolte? E che dire delle specificità della mediazione in ambito sanitario? Di seguito, le sue risposte.

Lei è da sempre convinta delle potenzialità della Conciliazione come tecnica risolutoria dei conflitti, specie in ambito medico, tanto da farsi capofila di un progetto, nella Regione Toscana, di modalità di risoluzione alternative a quella giurisdizionale per le controversie in materia di responsabilità medica. Può spiegarci tale progetto?
Il progetto che la Regione Toscana ha poi realizzato solo in parte, e con caratteristiche parzialmente diverse da quelle che avevamo ipotizzato (in particolare, perché si avvicina più a una forma di negoziazione che ad una conciliazione vera e propria, visto che il tentativo di conciliazione si svolge direttamente presso la ASL, che è espressione di una delle due parti in lite), era volto all’introduzione di un vero e proprio circuito, prima conciliativo e poi arbitrale, nel quale potevano essere avviate le controversie in materia di responsabilità sanitaria, e prevedeva anche un parere preventivo, che veniva dato da alcuni esperti “indipendenti”, giuristi e medici, sulle principali incertezze che ciascuna vicenda può presentare, sia dal punto di vista dell’attore che del convenuto. Quest’ultimo, in particolare, era un modo di consentire alle parti di verificare – con maggiore consapevolezza di quanto talora non accada quando il confronto sia solo con un’opinione “di parte” – il rapporto costi-benefici tra l’introduzione del giudizio e la scelta di una forma "alternativa” di giustizia, rispetto a quella statuale.
Il progetto – curato da un gruppo di docenti composto, oltre che da me, dai colleghi Fausto Giunta e Michele Papa, della Facoltà di Giurisprudenza di Firenze, e Giovanni Comandé, della Scuola Sant’Anna di Pisa – era stato sottoposto preventivamente agli Ordini professionali e alle principali associazioni dei cittadini, in una serie di tavoli tecnici che avevano consentito di far emergere tutte le principali difficoltà che debbono essere superate perché la mediazione, in questa materia, possa funzionare.

I suoi colleghi avvocati, invece, si sono in gran parte scagliati contro la normativa, anche collegialmente, nelle vesti dell’Organismo unitario dell’avvocatura, l’organismo di rappresentanza politica. Si immagini nelle vesti di difensore della Conciliazione. Cosa rimproverano gli avvocati alla legge sulla Conciliazione?
Le principali critiche che gli avvocati muovono alla conciliazione sono legate alla mancata previsione di un obbligo di difesa tecnica in seno al tentativo di conciliazione, ai costi che gravano sulle parti (soprattutto su chi deve avviare il tentativo), nonché al fatto che mediatore può essere anche un non giurista, eventualmente anche un laureato con laurea triennale.
Ci sono poi altre censure, per lo più immotivate, che nascono da una certa diffidenza verso quella che appare, per come è costruita, una sorta di “giustizia minore”, rispetto a quella che viene offerta nel processo.
Personalmente credo che le critiche costruttive abbiano avuto il merito di far riflettere sui problemi che la normativa pone, e che debbono essere superati, dove possibile, attraverso i regolamenti degli organismi, e, dove non è possibile, attraverso modifiche normative che il legislatore non ha escluso di poter apportare. Le critiche immotivate, però, hanno finito per creare due opposti schieramenti, quello dei fautori della conciliazione ad ogni costo, e quello degli strenui oppositori, dall’altro: e, come sempre succede in questi casi, senza che neppure vi sia sempre una piena conoscenza, in questi ultimi, dell’istituto che viene attaccato.

Cosa direbbe ai suoi colleghi per convincerli del fatto che i vantaggi supereranno le problematiche? E quali soluzioni propone per le questioni ancora aperte?
Il punto dal quale bisogna partire è che, se la mediazione funziona, mediazione e processo si muovono su piani completamente diversi, che non interferiscono tra loro a patto che la mediazione, quando è prevista l’obbligatorietà del tentativo, non rappresenti un ostacolo all’esercizio dei diritti in gioco. Secondo la Corte di Giustizia del marzo 2010, le condizioni sono che la previsione di un tentativo obbligatorio non comporti un ritardo sostanziale per la proposizione del ricorso giurisdizionale, sospenda la prescrizione dei diritti in questione e non generi costi ingenti per le parti.
A queste condizioni, la mediazione offre maggiori opportunità di quelle che offre il processo, perché l’autonomia negoziale dà maggiori margini di manovra alle parti, e consente anche una riscrittura del rapporto, in proiezione futura, andando al di là di quello che può la decisione del giudice, che incontra una serie di limiti nelle regole del processo.
Se la mediazione viene fatta funzionare (nel senso che gli avvocati si assumono la responsabilità di far sperimentare alle parti il tentativo di conciliazione, portando al tavolo anche il destinatario della domanda; e gli organismi si impegnano a far condurre il tentativo a mediatori davvero preparati ed autorevoli, graduando le competenze in base alle difficoltà della controversia, secondo un meccanismo di “rotazione qualificata” nella scelta dei mediatori), la mediazione costa meno di una causa, e la parte può sopportare anche il costo del consulente in mediazione, da cui – viste le tecnicità della mediazione, soprattutto in fase di redazione dell’accordo – si farà assistere anche in assenza di un obbligo di difesa tecnica (che, per attività non riservate, com’è la consulenza stragiudiziale, non avrebbe dovuto essere previsto in nessun caso).

In particolare, quali sono i benefici e quali le complessità della conciliazione in materia medica?
In materia medica, poi, la mediazione può avere una particolare utilità, anche se in certi casi sarà più proficuo il tentativo che si svolga a lite già introdotta (su delega del giudice, che rinnovi il tentativo, già svolto come condizione di procedibilità), mentre l’obbligatorietà impone che il passaggio dal mediatore sia svolto quando ancora i termini della lite possono non essere perfettamente chiari, sicché occorre che sia il tentativo a far emergere, oltre agli interessi delle parti, anche gli aspetti più strettamente tecnico-giuridici della vicenda. Occorrerà perciò garantire, trattandosi di controversie ad alto tasso di complessità sotto il profilo tecnico-scientifico, che alle tecniche di gestione del conflitto si affianchi una particolare competenza del mediatore (per questo è stata prevista la possibilità della co-mediazione), senza che ciò porti a snaturare il significato profondo dell’istituto della conciliazione. Ma, pur con tutte queste difficoltà, la mediazione in materia medica consente un confronto tra le parti e i loro consulenti che, se ben condotto alla presenza di un terzo imparziale e preparato, è la chiave del buon esito del negoziato; inoltre, e soprattutto, consente il recupero del rapporto medico-paziente che il verificarsi del danno inevitabilmente incrina, a prescindere dal fatto che sussista o meno una qualsiasi responsabilità nel sanitario.

Autore: Redazione FNOMCeO

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