Cassazione Civile Sent. N. 25849/16 – Responsabilità medica da nascita indesiderata – In tema di responsabilità medica da nascita indesiderata, il genitore che agisce per il risarcimento del danno ha l’onere di provare che la madre avrebbe esercitato la facoltà d’interrompere la gravidanza – ricorrendone le condizioni di legge – ove fosse stata tempestivamente informata dell’anomalia fetale; quest’onere può essere assolto tramite praesumptio hominis, in base a inferenze desumibili dagli elementi di prova in atti, quali il ricorso al consulto medico funzionale alla conoscenza dello stato di salute del nascituro, le precarie condizioni psico-fisiche della gestante o le sue pregresse manifestazioni di pensiero propense all’opzione abortiva, gravando sul medico la prova contraria, i.e. che la donna non si sarebbe determinata all’aborto per qualsivoglia ragione personale
FATTO E DIRITTO: Nel 1999, F.A. e D.M.M.G., in proprio e nella qualità di legali rappresentanti del minore F.G., convennero in giudizio l’Azienda Ospedaliera di (OMISSIS), esponendo:che la D.M., alla ventunesima settimana di gestazione, si era sottoposta ad ecografia da parte di uno specialista di ostetricia e ginecologia dell’ospedale convenuto;che la predetta aveva poi partorito il figlio G., affetto da patologie agli arti superiori di gravità tale da determinarne una invalidità totale e permanente al 100% (percento);che l’errore diagnostico consistito nella mancata individuazione delle malformazioni presenti nel feto al momento dell’ecografia, e la conseguente, omessa informazione, avevano impedito loro di esercitare il diritto, riconosciuto alla madre dall’art. 6 della legge n. 194 del 1978, di ricorrere all’interruzione volontaria della gravidanza, con gravissime conseguenze per essi attori sul piano psichico e della qualità di vita. Si costituì in giudizio l’Azienda ospedaliera, resistendo alla domanda risarcitoria proposta dai coniugi F.. La Corte di Appello, diversamente dal giudice di primo grado, ha escluso il diritto dei coniugi F. al risarcimento dei danni conseguenti alla perdita di chance. La Corte territoriale ha ritenuto che gli odierni ricorrenti non abbiano assolte all’onere di provare che, ove informata delle malformazioni del concepito, si sarebbe determinato un grave pericolo per la salute della gestante e che la stessa gestante avrebbe deciso e ottenuto di interrompere la gravidanza. Secondo la Corte, le malformazioni di cui è affetto F.G., in quanto meramente scheletriche, non appaiono tali da far ritenere automaticamente sussistenti i requisiti imprescindibili per consentire l’interruzione di gravidanza dopo il primo trimestre. La Corte di Appello ha tuttavia riconosciuto che la mancata diagnosi prenatale e la mancata, corretta informazione della gestante avevano comunque causato ai due coniugi un danno risarcibile, rappresentato dalla compromissione del diritto dei genitori ad essere informati della malformazione del nascituro al fine di prepararsi, psicologicamente e materialmente, all’arrivo di un bambino menomato, ed ha quindi condannato l’azienda ospedaliera a corrispondere la minor somma di Euro 60.000 alla D.M. e la minor somma di Euro 40.000 al F.. i ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3., la "violazione e/o falsa applicazione della Legge n. 194 del 1978, art. 6, lett. b) e dell’art. 32 Cost.". Osservano i ricorrenti che la norma in questione – stabilendo che l’interruzione della gravidanza per motivi terapeutici può essere praticata quando siano accertati processi patologici, fra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del feto che determinino un grave periodo pericolo per la salute fisica o psichica della donna – non esige anche la verifica del requisito della gravità delle malformazioni come condizione di operatività della fattispecie. La Corte bresciana, pertanto, avrebbe dovuto limitarsi a giudicare non della natura delle malformazioni o della loro gravità, ma unicamente della rilevanza delle stesse quale probabile causa di pericolo per la salute fisica o psichica della gestante. I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono fondati. Come le Sezioni Unite di questa Corte hanno avuto modo di affermare in tema di responsabilità medica da nascita indesiderata, il genitore che agisce per il risarcimento del danno ha l’onere di provare che la madre avrebbe esercitato la facoltà d’interrompere la gravidanza – ricorrendone le condizioni di legge – ove fosse stata tempestivamente informata dell’anomalia fetale; quest’onere può essere assolto tramite praesumptio hominis, in base a inferenze desumibili dagli elementi di prova in atti, quali il ricorso al consulto medico funzionale alla conoscenza dello stato di salute del nascituro, le precarie condizioni psico-fisiche della gestante o le sue pregresse manifestazioni di pensiero propense all’opzione abortiva, gravando sul medico la prova contraria, i.e. che la donna non si sarebbe determinata all’aborto per qualsivoglia ragione personale. Nella sentenza impugnata, la Corte di merito non ha fatto corretta applicazione di tali principi laddove ha escluso di poter applicare il ragionamento presuntivo per ottenere la prova in questione, sulla base del rilievo che la malformazione da cui è risultato affetto il F., privo degli arti superiori, non incide sull’espletamento di attività fisica e soprattutto psichiche, e quindi non sarebbe grave).