Cassazione Penale Sent. n. 4562/18 – Esercizio abusivo professione – La fattispecie prevista dall’art. 348 cod. pen. ha natura istantanea, sicché essa non esige un’attività continuativa od organizzata, ma si perfeziona con il compimento anche di un solo atto tipico o proprio della professione abusivamente esercitata.
FATTO E DIRITTO:Con sentenza del Tribunale di Cremona in data 17/02/2015, C. N., E. C. e L. G. G. erano state condannate: la prima alla pena di due anni e due mesi di reclusione e, le altre due, alla pena di un anno e tre mesi di reclusione, in quanto riconosciute colpevoli dei reati, commessi in concorso tra loro e unificati dal vincolo della continuazione, previsti dagli artt. 81 cpv., 110, 544-bis cod. pen. per avere ucciso, dal 2005 al marzo 2009, la (Omissis) come vice-Presidente dell’Associazione Zoofili Cremonesi, la C. e G. come volontarie del Rifugio del cane, con crudeltà e senza necessità, un considerevole numero di cani, anche intere cucciolate, e di gatti, inoculando, ingiustificatamente ed illegittimamente, il farmaco eutanasico Tanax o il Penthotal sodium (capo c), nonché dall’art. 348 cod. pen. per avere esercitato, dal 2005 al 2009, le funzioni tipiche del medico veterinario uccidendo cani e gatti attraverso la somministrazione dei farmaci indicati al capo che precede, procedendo alle vaccinazioni e rimuovendo i punti di sutura. La difesa di G. e C. censura, ex art. 606, comma 1, lett. B) ed E), cod. proc. pen., l’erronea applicazione del delitto di cui all’art. 348 cod. pen. nonché la mancanza della motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità delle due imputate. In particolare, non sarebbe stata dimostrata l’esistenza degli elementi qualificanti della professionalità dell’attività svolta, atteso il carattere meramente volontario e senza retribuzione della stessa. I ricorsi sono manifestamente infondati. Manifestamente infondate sono, altresì, le questioni poste con riferimento alla configurabilità dell’art. 348 cod. pen., rispetto alle quali le ricorrenti hanno articolato, nelle rispettive impugnazioni, il secondo motivo di doglianza. Si opina, da parte di tutte le imputate, che non sarebbe stata dimostrata l’esistenza degli elementi qualificanti della fattispecie contestata, quali la continuità, professionalità e onerosità della condotta, atteso il carattere meramente volontario e senza retribuzione della stessa. Tale ricostruzione dei requisiti del delitto de quo parrebbe fondata sul principio espresso dalle Sezioni unite di questa Corte, secondo il quale integra il reato di esercizio abusivo di una professione (…), il compimento senza titolo di atti che, pur non attribuiti singolarmente in via esclusiva a una determinata professione, siano univocamente individuati come di competenza specifica di essa, allorché lo stesso compimento venga realizzato con modalità tali, per continuatività, onerosità e organizzazione, da creare, in assenza di chiare indicazioni diverse, le oggettive apparenze di un’attività professionale svolta da soggetto regolarmente abilitato. E tuttavia, in quel caso, il riferimento ai menzionati requisiti dell’attività delittuosa era strettamente connesso alla necessità di ricondurlo, sul piano probatorio, alla professione abusivamente esercitata e non alla identificazione degli indefettibili elementi di fattispecie. Infatti, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, la fattispecie prevista dall’art. 348 cod. pen. ha natura istantanea, sicché essa non esige un’attività continuativa od organizzata, ma si perfeziona con il compimento anche di un solo atto tipico o proprio della professione abusivamente esercitata. E nel caso di specie, le sentenze hanno perfettamente posto in luce come le pratiche di eutanasia ascritte alle tre imputate configurassero delle ipotesi di esercizio della professione di veterinario, in quanto attività allo stesso riservate. Sulla base delle considerazioni che precedono i ricorsi devono essere, pertanto, dichiarato inammissibili).