di Viviana Monastero (Oikos)
Caterina Rotunno, 45 anni, è specialista di Chirurgia pediatrica. Da dieci anni è guardia medica negli ambulatori del Distretto socio-sanitario di Bari e provincia. Nella Giornata dedicata alla lotta contro la violenza nei confronti degli operatori sanitari, abbiamo deciso di raccogliere la sua testimonianza, di dar voce a chi ha dovuto trovare un modo “alternativo” per difendersi dalle aggressioni sul posto di lavoro.
Dottoressa Rotunno, alla fine del 2017 ha dato vita al gruppo Facebook “Medici della notte”.
Prima del gruppo Facebook ho creato una chat su Whatsapp che riunisce i medici donna di continuità assistenziale. Ed è proprio grazie alla connessione fra colleghe che siamo riuscite a incastrare il molestatore seriale che a partire dal 2011 agiva nelle guardie mediche della provincia di Bari. “Medici della Notte” – che comprende anche colleghi uomini – nasce in seguito, dopo la manifestazione del 10 novembre che ha visto uniti i medici pugliesi di tutte le categorie per rivendicare autonomia e sicurezza.
Da dove nasce l’idea di creare la chat?
La notte fra il 9 e il 10 ottobre il molestatore ha telefonato nuovamente alla mia guardia. Il giorno successivo ho avvertito il mio distretto, la mia Asl, per chiederne un intervento. Avevo suggerito di individuare il numero di questa persona, ma mi è stato risposto: “Che cosa dovremmo fare noi, i carabinieri?”. Da allora, esasperata, ho promesso a me stessa che le cose sarebbero dovute cambiare: dovevamo uscire dal buio. Lavoriamo per garantire la tutela del paziente e non è ammissibile che non ci sia nessuno, invece, che protegga noi.
Da allora cos’è cambiato?
Dal punto di vista della nostra sicurezza, nulla. Abbiamo cercato un dialogo con le istituzioni, ma prima ancora con la Asl e la Regione, che in qualche modo sono i diretti responsabili della nostra tutela e della nostra sicurezza. Ma non abbiamo avuto alcuna risposta, e infatti ci siamo fatte giustizia da sole.
Ciò che invece è cambiato è che adesso se ne parla, siamo emersi un po’ dal buio della notte. E sembra essere cambiata anche la consapevolezza dei pazienti che vengono in guardia medica, più coscienti delle nostre condizioni di lavoro.
Quando dice “ci siamo fatte giustizia da sole” si riferisce al fatto che grazie alla chat creata su Whatsapp siete riuscite a incastrare il molestatore che agiva nella provincia di Bari dal 2011, e che è stato arrestato il 23 marzo. Come avete fatto?
Facendo rete con le altre colleghe, abbiamo capito che questa persona agiva in tutte le guardie dove sapeva che le dottoresse erano da sole e le molestava utilizzando sempre le stesse modalità. La notte del 4 novembre scorso, il molestatore ha contattato telefonicamente, a distanza di pochi minuti, tre guardie mediche della provincia di Bari. Chiedeva a che ora chiudesse la guardia e riportava sempre la stessa sintomatologia, un fortissimo dolore addominale. Quella notte ci siamo scambiate continuamente informazioni su Whatsapp, per aggiornarci sui suoi movimenti, per poi avvertire i carabinieri. Anche se quella notte l’uomo è riuscito a scappare prima dell’arrivo dei carabinieri, grazie all’identificativo chiamante presente in tutte e tre le sedi da lui contattate, è stato possibile individuare il suo numero, denunciarlo e far partire l’indagine. Abbiamo raccolto tutte le testimonianze delle colleghe che avevano subìto molestie da parte di quest’uomo, non ci aspettavamo che il problema fosse così esteso.
Quando ha denunciato le aggressioni c’è chi le ha detto: “In fondo non ti è successo nulla”. Cosa ha pensato in quei momenti?
È accaduto a me, ma anche ad altre colleghe. Sei anni fa, periodo a cui risale il primo episodio, in Italia di stalking non si parlava ancora. E sia i carabinieri, sia alcuni colleghi uomini mi dicevano: “In fondo cosa ti è successo?”. Non era possibile sporgere denuncia perché non era stato commesso alcun reato, era come se non fosse accaduto nulla. In quei momenti mi sono sentita sola.
Lei ha subìto aggressioni fisiche e verbali da parte dei suoi pazienti. Come ha imparato a gestire queste situazioni?
Devi, innanzitutto, amare il tuo lavoro. Devi sapere che per quante situazioni scomode e spiacevoli affronti ce ne sono tante altre che ti gratificano: il paziente che ti ringrazia per averlo ascoltato e per avergli dato conforto.
Quali, secondo lei, sono le soluzioni per risolvere il problema delle aggressioni contro gli operatori sanitari? E cosa possono fare le istituzioni?
Nell’ambito della continuità assistenziale, lavorare in coppia, non più da soli; renderci tracciabili, come qualunque lavoratore che lavora di notte, con una centrale operativa che, se ti sposti per una visita domiciliare, sa dove stai andando; organizzare il sistema in maniera razionale e uniforme su tutto il territorio nazionale: se il sistema sanitario è nazionale, deve esserlo anche il servizio di continuità assistenziale. Non è più tempo di fare gli eroi, anche noi dobbiamo essere tutelati.
Autore: Redazione