Cassazione Penale Sentenza n. 8115/19 – Responsabilità medica

Cassazione Penale Sentenza n. 8115/19 – Responsabilità medica – In tema di responsabilità dell’esercente la professione sanitaria, l’art. 590-sexies cod. pen., introdotto dall’art. 6 della legge 8 marzo 2017, n. 24, prevede una causa di non punibilità applicabile ai soli fatti inquadrabili nel paradigma dell’art. 589 o di quello dell’art. 590 cod. pen., e operante nei soli casi in cui l’esercente la professione sanitaria abbia individuato e adottato linee guida adeguate al caso concreto e versi in colpa lieve da imperizia nella fase attuativa delle raccomandazioni previste dalle stesse; la suddetta causa di non punibilità non è applicabile, invece, né ai casi di colpa da imprudenza e da negligenza, né quando l’atto sanitario non sia per nulla governato da linee-guida o da buone pratiche, né quando queste siano individuate e dunque selezionate dall’esercente la professione sanitaria in maniera inadeguata con riferimento allo specifico caso, né, infine, in caso di colpa grave da imperizia nella fase attuativa delle raccomandazioni previste dalle stesse.

FATTO E DIRITTO: La Corte di Appello di Messina con sentenza pronunciata in data 25 Gennaio 2018, su impugnazione della parte civile, in riforma della sentenza pronunciata dal Tribunale di Messina nei confronti di R. G. e di G. M. imputati del reato di lesioni personali colpose all’esito di trattamento medico sanitario, riteneva di riqualificare il fatto ai sensi dell’art.590 sexies II comma cod.pen., rigettando nel resto la impugnazione. Assumeva che a fronte di sentenza totalmente assolutoria del giudice di primo grado la impugnazione della parte civile andava accolta limitatamente alla sussunzione dei fatti ascritti all’imputato nella causa di non punibilità di cui all’art.590 sexies II comma cod.pen. (introdotta dalla riforma normativa sulla responsabilità sanitaria Gelli Bianco), ipotesi di depenalizzazione della responsabilità penale del sanitario che impediva al giudice penale di pronunciare ai fini degli interessi civili, richiamando all’uopo sentenza del giudice di legittimità (sez.U, 29.9.2016 Schirru e altro, Rv.267884). Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la difesa della parte civile S. D. mediante la formulazione di due motivi di ricorso. Con un primo motivo deduceva violazione di legge atteso che la pronuncia assolutoria degli imputati per non avere commesso il fatto era coperta da giudicato e non poteva più essere suscettibile di riforma, laddove da una parte la causa di non punibilità era sopravvenuta alla sentenza di assoluzione e dall’altra la pronuncia era stata impugnata esclusivamente ai fini civili. Con una seconda articolazione deduceva vizio motivazionale in ragione della mancata esplicitazione delle ragioni per le quali da un lato aveva ritenuto di accogliere parzialmente la impugnazione della parte civile agli effetti civili e dall’altra parte aveva riconosciuto la sopravvenienza di ipotesi di non punibilità, senza alcuna motivazione sulle ragioni per cui riteneva integrata la ipotesi di cui all’art.590 sexies cod.pen. la quale presuppone che si versi in ipotesi di imperizia e che la condotta dei sanitari sia rispettosa di linee guida codificate e delle buone pratiche terapeutiche. La sentenza impugnata deve essere annullata ai fini civili atteso che i giudice di appello, pure essendo vincolato dai limiti del devolutum che gli impedivano la riforma della sentenza impugnata agli effetti penali, ha proceduto di ufficio alla riqualificazione dei fatti contestati ai sensi dell’art.590 sexies cod.pen. come introdotto dalla L. 8.3.2017 n.24. Del tutto incomprensibili sono poi le ragioni di una tale scelta, fondata sulla erroneità della formula assolutoria adottata dal giudice di primo grado (per non avere commesso il fatto) la quale, in assenza di qualsiasi valutazione sul merito della impugnazione e sul merito della condotta dei sanitari, veniva modificata in pejus mediante la sussunzione dei fatti contestati nella causa di non punibilità di cui all’art.590 sexies introdotta dalla normativa sopra indicata. All’uopo il giudice distrettuale richiamava una pronuncia del giudice di legittimità a sezioni unite che ha affrontato la diversa tematica degli effetti sui capi civili della sentenza penale di condanna in ipotesi di sopravvenuta depenalizzazione della fattispecie penale (sez.U, 29.9.2016, Schirru e altro, Rv.267884).  Nel caso in specie non solo non esistevano capi civili da revocare in presenza di sentenza assolutoria già all’esito del giudizio di primo grado ed inoltre il giudice di appello non ha fornito alcuna spiegazione delle ragioni per cui ha ritenuto di dovere riconoscere la causa di non punibilità introdotta dall’art.590 sexies cod.pen. piuttosto che confermare l’assoluzione con formula ampiamente liberatoria, certamente più favorevole per gli imputati, dal momento che si è al contempo sottratto a qualsiasi valutazione sul merito della responsabilità penale dei prevenuti e addirittura di esaminare se ricorressero le condizioni legittimanti la applicazione della ipotesi scriminante di cui alla norma citata. Invero in tema di responsabilità dell’esercente la professione sanitaria, l’art. 590-sexies cod. pen., introdotto dall’art. 6 della legge 8 marzo 2017, n. 24, prevede una causa di non punibilità applicabile ai soli fatti inquadrabili nel paradigma dell’art. 589 o di quello dell’art. 590 cod. pen., e operante nei soli casi in cui l’esercente la professione sanitaria abbia individuato e adottato linee guida adeguate al caso concreto e versi in colpa lieve da imperizia nella fase attuativa delle raccomandazioni previste dalle stesse; la suddetta causa di non punibilità non è applicabile, invece, né ai casi di colpa da imprudenza e da negligenza, né quando l’atto sanitario non sia per nulla governato da linee-guida o da buone pratiche, né quando queste siano individuate e dunque selezionate dall’esercente la professione sanitaria in maniera inadeguata con riferimento allo specifico caso, né, infine, in caso di colpa grave da imperizia nella fase attuativa delle raccomandazioni previste dalle stesse (sez.U, 21.12.2017, Mariotti e altro, Rv.272174). Una tale verifica è del tutto mancata essendosi il giudice di appello limitato acriticamente a sussumere i fatti all’interno della normativa sopravvenuta, ravvisando in essa una ipotesi di depenalizzazione tout court, di immediata applicazione al caso in specie sebbene la pronuncia assolutoria, per non avere commesso il fatto, risultava ormai irrevocabile in assenza di una impugnazione ammissibile della pubblica accusa e omettendo qualsiasi valutazione di merito sulle numerose problematiche che si agitano sulla natura giuridica e sui presupposti applicativi della causa di non punibilità di lesione colposa determinata da imperizia di colui che esercita la professione sanitaria. Infine il giudice di appello incorreva in una totale omissione di pronuncia sulle censure di merito pure sollevate dalla difesa della parte civile nei motivi di appello proposti ai sensi dell’art. 576 cod.proc.pen. La impugnazione della difesa della parte civile, peraltro ammissibile a fronte di rituale procura speciale in favore del patrocinatore avv.to Be. allegata alla dichiarazione di costituzione di parte civile (il vizio in procedendo dedotto in sede di discussione dalla difesa degli imputati consente l’esame degli atti processuali), risulta altresì fondata in relazione ad entrambi i motivi di ricorso e conseguentemente la sentenza impugnata deve essere annullata ai sensi dell’art.622 cod.proc.pen. con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello, cui demanda altresì il regolamento delle spese tra le parti per questo giudizio di legittimità.

Autore: Marcello Fontana - Ufficio Legislativo FNOMCeO

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