Gentile Direttore,
ogni volta che ripenso alla questione Medico – Paziente, nonostante le riflessioni mi accompagnino da oltre trent’anni, visto che sono state anche oggetto della mia tesi di laurea, non riesco mai a venirne completamente a capo. Faticosamente più si cerca di definirne i confini e più il tema sembra immerso in qualcosa di incompiuto perché nella sua complessità entrano tante, troppe variabili.
Durante i Mercoledì Filosofici organizzati dalla Fondazione Ars Medica dell’OMCeO di Venezia, discutendo anche delle tesi del Prof. Cavicchi, abbiamo tentato di contestualizzarlo all’interno della crisi della professione medica dove ho portato come un limite la supposta dualità, inserita in un sistema sanitario in forte ridefinizione vuoi economica, vuoi culturale, vuoi politica, vuoi tecnica.
Abbiamo anche letto alcuni articoli pubblicati nei principali quotidiani nazionali (Corriere.it del 9 e 19 Marzo 2019) che sono apparsi sì sconcertanti, ma così cinicamente moderni che sembra ci sia ben poco da sperare vista la generale indifferenza con cui sono stati accolti.
Il primo parla di un robot che comunica al paziente al posto del medico (collegato in video) una prognosi infausta; il secondo in cui si afferma che un eminente matematico contribuisce alla crescita e all’affermazione dei campioni dello sport attraverso l’applicazione, anche dal punto di vista biologico – prestazionale di algoritmi. Si ribadisce, in esso, quanto il linguaggio matematico sia il modello teorico perfetto ed oggi uno strumento unico e capace di offrire alla Medicina, in quanto Scienza (matematica), soluzioni e risposte alla ricerca sempre di maggiore efficacia.
Bene e allora? Dopo questo, sentiamo ancora la necessità di discutere di questa obsoleta questione del rapporto medico paziente? Infatti sembra che già il tema del Potere sia tramontato di interesse in quanto la cosiddetta sostenibilità basterebbe a governare la questione già da sola in termini sia economici sia contrattuali. Qualora, invece fosse un problema di liceità ci penserebbe la legge a normare qualunque controversia. Qualora fosse un problema tecnologico il limite lo porrebbe la fattibilità della tecnica.
Che senso avrebbe ancora parlare di cliente, di esigente, di medico strutturato o meno presupponendo che dentro queste accezioni vi sia ancora un esercizio libero di identità? D’altronde, sarebbero pure da evitarsi le facili e romantiche nostalgie di quando il medico curava con la parola e il gesto perché null’altro possedeva; come pure il rifugiarsi nel futurismo spinto, ammaliati dal potere della Tecnica, creazione dell’uomo che velocemente si sta impossessando dell’Umano.
Non è certo continuando ad analizzare la situazione, spezzettando e riducendo, come se fossimo al microscopio, il campo di osservazione che troveremmo le risposte perché in questo modo ne perderemmo anche la complessità.
Lucidamente immersi in un pensiero distopico proporremmo una lettura del rapporto medico – paziente da un punto di vista triangolare, dove il cambiamento di paradigma farebbe uscire questa relazione dalla stretta dualità: vorremmo aggiungere il concetto ineludibile di Responsabilità. Fino ad oggi infatti la relazione è stata analizzata come se il medico e il paziente fossero o isolati in una bolla anaclitica oppure inseriti e dispersi in un sistema che li conterrebbe, informe e miope.
Responsabilità significa avere la capacità e il dovere di rispondere di una determinata azione a qualcuno e quindi sarà la Responsabilità stessa che presupponendo il triangolo introduce e definisce i limiti del terzo condizionante il rapporto medico – paziente.
A volte la crisi del rapporto medico – paziente e più in generale della professione medica viene ascritta, in base a tesi postmoderniste, allo sgretolamento delle relazioni umane oppure alle incursioni del Diritto che, come sempre accade quando l’etica abdica, intrude col suo potere rigido ed impersonale. Non si tiene conto, però, che fin dai tempi d’Ippocrate, il concetto di responsabilità è indissolubile dalla relazione di cura in quanto l’uno verso l’altro, il medico e il paziente, sono legati prima di tutto come persone.
Questo significa che l’intervento dell’eventuale Terzo, magari pagante, della Deontologia, del Diritto, dell’Etica e oggi soprattutto della Tecnica diventerebbero subalterni al concetto di Responsabilità Umana che vincola due Umani in una relazione di aiuto.
Non affrontare il tema della Responsabilità direttamente, ma declinarlo subordinandolo alle questioni emerse dai differenti approcci: economico – finanziario, tecnico o altro, ne limita la portata e per assurdo ne stravolge il significato.
Nel caso della Tecnica, per esempio, un insuccesso terapeutico, sarebbe un problema determinato da essa e quindi paradossalmente un atto deresponsabilizzato perchè spersonalizzato.
Il Terzo, quindi, qualora non considerassimo la Responsabilità, offrirebbe un ombrello sulle ricadute relazionali e un paracadute deresponsabilizzante nell’ambito di scelte o azioni che coinvolgessero l’Umano.
Se si volesse cambiare il paradigma epistemologico non si potrebbe negare il grande peso della Responsabilità Personale per evitare che il rapporto medico – paziente non venga fagocitato dal supposto Terzo. Solo la Medicina in quanto scienza filosofica orientata all’Umano potrebbe avere la competenza per regolare e gestire il Servizio Erogante, la Cura, la Tecnica e Altro in quanto sarebbe in grado di assumersi l’onere di rispondere all’Umano per le sue azioni.
I Medici, in quanto parte di questo Corpo dovrebbero riacquisire le competenze culturali perdute a causa di un indottrinamento tecnico che ha illuso questa Civiltà di poter fare a meno della Relazione.
I Medici dovrebbero ritrovare il posto in una Politica Sanitaria perchè di precipua loro competenza.
Ovviamente per questo occorrerebbe fare un salto letteralmente culturale già nella Formazione del Medico prevedendo studi appropriati umanistici e filosofici e non premiando una Scuola e una Università che puntando solo alle competenze stanno creando una schiera di medici tecnodigitali, ottimi prestatori d’opera, ma profondamente ignoranti delle radici filogenetiche dell’Arte Medica, e, in quanto tali, facilmente condizionabili da chi la Tecnica la governerà davvero.
Marco Ballico
Medico Chirurgo Psicoterapeuta, Docente IUSVE
Coordinatore Commissione Scientifica Fondazione Ars Medica, OMCeO Venezia
Lettera pubblicata su QuotidianoSanità
Autore: Redazione