Decine di sigle sindacali, oltre 200 società scientifiche, tante sono le rappresentanze mediche in Italia. Voci diverse ma alla fine tutte ascrivibili ad un’unica professione. Ha senso? Se un ministro o un assessore volessero consultarli al volo per prendere una decisione “quanti numeri di telefono dovrebbero comporre”, parafrasando Kissinger?
14 DIC – “Qual è il numero di telefono per parlare con l’Europa?”, questa frase attribuita allo storico segretario di Stato americano Henry Kissinger mi è tornata più volte in mente ieri mattina mentre, ospite al tavolo degli Stati generali della Fnomceo, ascoltavo i 12 rappresentanti del sindacalismo medico invitati a confrontarsi sul tema “Il medico e il lavoro”.
Se pensiamo che 12 sindacati sono solo una parte della galassia sindacale medica che conta alcune decine di sigle nazionali più o meno rappresentative (l’ultima volta che le contai alcuni anni fa erano quasi 80 ma mi dicono che ora si siano ridotte significativamente), immaginiamo cosa accade ogni volta che il ministro o l’assessore di turno si prendono la briga di consultare i sindacati medici.
Tante voci diverse ma alla fine tutte ascrivibili ad un’unica professione. Ha senso? Se quel ministro o quell’assessore volessero consultarli al volo per prendere una decisione “quanti numeri di telefono dovrebbero comporre”, parafrasando Kissinger?
Ma il problema non sta solo “dall’altra parte”, del resto un ministro o un assessore hanno il dovere di ascoltare le rappresentanze se vogliono che le loro politiche siano condivise. Il problema sta soprattutto “da questa parte”.
Una sola professione rappresentata da decine di sigle sindacali e da oltre 200 società scientifiche, potrà mai pensare di ottenere qualcosa in quanto “medici”?
Potrà mai pensare di poter “trattare” un nuova collocazione e un nuovo ruolo nel sistema salute presentandosi ogni volta con delegazioni monster?
Penso di no, e le cose alla fine si fanno e si decidono comunque e lo si fa, per l’appunto, come del resto hanno denunciato ieri la maggior parte degli interventi, “senza i medici”.
Il sogno di Cavicchi, come lui stesso l’ha definito, è quello di avere un’unica grande famiglia medica in termini di posizione giuridica e conseguentemente contrattuale. Il che darebbe luogo a un’inevitabile cura dimagrante sindacale venendo meno le ragioni (almeno quelle non personali) di tante divisioni categoriali e sub categorial-professionali.
Mi unisco a quel sogno, avendo anch’io come Cavicchi la libertà intellettuale e professionale di poterlo sostenere non avendo interessi diretti in campo.
Se non proprio un sindacato unico (che fa troppo corporazione o soviet), pensiamo seriamente a un processo federativo sostanzioso (soprattutto nella dipendenza dove la pletora sindacale è più evidente) puntando soprattutto a ciò che unisce la categoria piuttosto che ai protagonismi locali e specialistici o addirittura personali, alla base di alcuni “mini” sindacati.
E infine guardiamo con attenzione alla conclusione del percorso degli Stati generali della Fnomceo la quale, con la scelta di porre sul tavolo la “crisi” del medico, ha conquistato indubbiamente una leadership di indirizzo e riferimento che la pone inequivocabilmente come terminale delle diverse e molteplici istanze della professione nei confronti delle istituzioni e della politica.
Se il processo si concluderà, come sembra, con una inedita convergenza del mondo medico attorno a un’unica piattaforma in grado di portare la “questione medica” nell’agenda di chi governa la sanità a tutti i livelli, vorrà dire che allora il signor Kissinger avrà finalmente il “suo” numero da chiamare.
Cesare Fassari
Pubblicato su Quotidiano Sanità
Autore: Redazione