La Suprema Corte ha affermato che al fine di stabilire la responsabilità dell’esercente una professione sanitaria per l’evento lesivo causato nel praticare l’attività, occorre verificare, in primo luogo, se il caso concreto sia regolato da linee-guida o, in mancanza, da buone pratiche clinico-assistenziali, quindi, specificare la natura della colpa (generica o specifica; per imperizia, negligenza o imprudenza), se ed in quale misura la condotta del sanitario si sia discostata dalle pertinenti linee-guida o buone pratiche clinico-assistenziali e quale sia stato il grado della colpa. Pertanto, il giudizio concernente la responsabilità degli esercenti le professioni sanitarie impone al giudice, non solo una compiuta disamina della rilevanza penale della condotta colposa ascrivibile al sanitario alla luce dei parametri di valutazione dell’operato del sanitario costituiti dalle linee-guida e dalle buone pratiche clinico-assistenziali, ma, ancor prima, un’indagine che tenga conto dei medesimi parametri allorché si accerti quello che sarebbe stato il comportamento alternativo corretto che ci si doveva attendere dal professionista, in funzione dell’analisi controfattuale della riferibilità causale alla sua condotta dell’evento lesivo. Si può parlare, quindi, di colpa grave solo quando si sia in presenza di una deviazione ragguardevole rispetto all’agire appropriato, rispetto al parametro dato dal complesso delle raccomandazioni contenute nelle linee guida di riferimento.
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