Bimbi e ragazzi passano la maggior parte del loro tempo libero incollati ai dispositivi digitali, i più grandi sempre connessi. Quasi tutti usano lo smartphone, oltre il 90%, e ne hanno uno di personale in età sempre più bassa, molti a meno di 9 anni. E, nella maggior parte dei casi, i genitori non li controllano perché “si fidano”. E allora per far crescere figli più consapevoli e sani nel loro rapporto con la tecnologia è agli adulti che bisogna parlare, educandoli a dare il buon esempio.
È questo il messaggio più forte emerso oggi dal convegno Adolescenza e devices: una vita nel web, organizzato all’auditorium Cesare De Michelis del Museo M9 di Mestre dall’Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri di Venezia e dalla sua Fondazione Ars Medica, sostenuto anche dal Comune di Venezia e dalle due aziende sanitarie del territorio, con la presenza dell’assessore alla Coesione sociale Simone Venturini, del direttore sanitario dell’Ulss 3 Serenissima Giovanni Carretta e di Diego Saccon a nome dell’Ulss 4 Veneto Orientale, che hanno sottolineato l’importanza e l’attualità del tema affrontato.
Un’occasione di confronto tra camici e bianchi e società – insegnanti, psicologi, psicoterapeuti ed esperti delle forze dell’Ordine e delle dipendenze – per prendere coscienza di questo nuovo stile di vita e trovare insieme azioni efficaci di prevenzione affinché non sfoci nella deriva di una dipendenza.
«La tecnologia – ha spiegato il presidente dell’OMCeO veneziano e vice nazionale Giovanni Leoni accogliendo i partecipanti – è ormai pervasiva. Come diceva però un presidente molto amato, Sandro Pertini, i giovani non hanno bisogno di grandi sermoni, ma di buoni esempi. Le giovani generazioni ci guardano. Noi siamo cresciuti col Risiko e i giochi di società che ci riunivano attorno a un tavolo… Ora dobbiamo capire cosa guardano loro, i nostri figli, e che derive li aspettano».
«Questa giornata – ha sottolineato aprendo i lavori Gabriele Gasparini, responsabile scientifico e presidente dell’Ars Medica – nasce perché siamo convinti che non siamo solo attori che cambiano il mondo attraverso la tecnologia, ma anche soggetti che la tecnologia stessa trasforma. L’iperconnettività dissolve i confini tra reale e virtuale: e allora servono regole per vivere questa nuova dimensione».
Il contesto per l’analisi degli esperti è stato tracciato illustrando i risultati di un questionario che Ordine e Fondazione hanno proposto agli studenti delle scuole veneziane tra i mesi di novembre 2022 e gennaio 2023, a cui hanno risposto 1.291 ragazzi e ragazze tra i 10 e i 16 anni di una ventina di istituti, medie e superiori, dell’ampio territorio provinciale, da Chioggia fino a Eraclea. Questi i dati più significativi:
- i ragazzi cominciano ad usare e ad avere uno smartphone personale in età sempre più bassa: la maggioranza, quasi il 48%, lo riceve tra i 10 e gli 11 anni, ma quasi un 12% molto prima, dai 6 ai 9 anni. Oltre il 77% dei partecipanti ha cominciato a usare il cellulare prima degli 11 anni e quasi il 60% ne aveva uno tutto suo;
- i ragazzi passano buona parte del loro tempo libero incollati a smartphone, tablet o smart tv: quasi il 51% dalle 3 alle 5 ore al giorno, quasi il 15% dalle 6 alle 8, oltre il 6% dalle 9 alle 14 ore. In sostanza 1 su 5, usa i dispositivi più di 6 ore al giorno e tra gli over 15, di fatto, 1 su 2 è sempre connesso. Tanti poi, oltre il 26%, quelli che restano davanti a uno schermo anche di notte, dopo le 23, di cui quasi la metà, ha tra i 14 e i 15 anni;
- se la maggioranza dei partecipanti, oltre il 41%, dice di divertirsi con i dispositivi, quasi altrettanti, il 36,5%, dichiara di “non provare nulla”. E se il 43% si dice indifferente in caso venissero loro tolti, più del 39% avrebbe invece reazioni negative di rabbia o di tristezza;
- per lo più, quasi il 60%, i genitori controllano sempre o qualche volta come i figli usano i dispositivi, ma quasi il 37% risponde che “no, non controllano, perché si fidano” e, a dirlo, sono soprattutto i 14-15enni (il 54%);
- i ragazzi sono abbastanza consapevoli che un uso prolungato dei dispositivi potrebbe avere ripercussioni sul rendimento scolastico (36%) e la qualità del sonno (oltre il 21%). Ma una fetta sostanziosa, oltre il 15%, pensa non ne arriverà “alcun danno”;
- meno consapevoli, invece, delle possibili trappole sul web: il 13,5% di loro ha a che fare in rete con persone che non conosce o di cui conosce solo il profilo e oltre il il 37% dichiara di avere avuto a che fare, in modo diretto o attraverso l’esperienza di amici, con situazioni sgradevoli o potenzialmente pericolose. In sostanza 1 su 3 è già incappato in contesti poco piacevoli.
Passare così tante ore davanti a uno schermo, però, può avere esiti nefasti: dai danni fisici – miopia, obesità, danni muscolari – a quelli psicosociali e psicologici (l’irascibilità, l’insonnia, l’aggressività, la diminuzione della capacità di concentrazione o dello spirito critico) come ha spiegato il medico e psicoterapeuta Marco Ballico, coordinatore del Comitato Scientifico dell’Ars Medica.
O l’insorgere di nuove patologie come la paura di essere disconnessi (FOMO – Fear Of Missing Out), tema approfondito dalla pediatra torinese Emanuela Malorgio, esperta in disturbi del sonno. «Vietare serve a poco – ha sottolineato – bisogna educare».
E poi la falsa illusione dei genitori, convinti che i figli in camera con il cellulare siano al sicuro perché a casa e non in giro per strada. E invece, rischi e pericoli, adescamento e pedopornografia, solo per fare qualche esempio, sono sempre in agguato, come ha spiegato Letterio Saverio Costa, direttore tecnico del Compartimento Polizia Postale del Veneto, che ha aggiunto: «Non è che non ci siano regole, è che nessuno le insegna».
L’azione più diretta, allora, la devono fare i genitori «perché sono loro i primi ad essere presi ad esempio dai ragazzi. Ed è inutile togliere ai figli lo smartphone se poi siamo noi i primi ad averlo sempre in mano» hanno spiegato l’angiologo Roberto Parisi e la pediatra Angela Barachino, componenti dell’Ars Medica, che stanno mettendo a punto un vademecum per l’educazione a un uso consapevole dei dispositivi che nelle prossime settimane sarà distribuito negli ambulatori medici e nelle scuole. In realtà è già tanto quello che si può fare:
- non dare per nessuno motivo un touchscreen a un bimbo con meno di 2 anni di età;
- usare internet e i social lontani dagli occhi dei bambini di meno di 6 mesi;
- per i figli tra i 6 e i 10 anni limitare l’uso a meno di 2 ore al giorno, mai durante i pasti e vietare l’accesso a internet in autonomia;
- creare alternative per i più piccoli: correre con loro, disegnare, raccontare una storia o leggere un libro, suonare, fare le costruzioni;
- installare nei dispositivi dei figli app di protezione;
- spegnere lo smartphone degli adolescenti un’ora prima di andare a letto e non lasciarlo in camera con loro.
E proprio del ruolo che devono giocare gli adulti e dei campanelli d’allarme a cui devono prestare attenzione, ma anche della possibilità concreta che alcuni atteggiamenti possano sfociare in una dipendenza, delle azioni pratiche che, facendo rete, si possono mettere in campo e delle domande che medici di famiglia, pediatri e odontoiatri possono fare per intercettare in modo precoce il fenomeno, si è discusso nella tavola rotonda a cui hanno partecipato le insegnanti Alessandra Masiero e Maria Serena, che ha illustrato un’interessante indagine condotta tra i suoi colleghi su come i professori vedono i ragazzi dopo tre anni di pandemia, Elisabetta Baioni e Diego Saccon, direttore della Neuropsichiatria infantile e del Serd dell’Ulss 4 Veneto Orientale e Silvia Faggian, psicologa del Serd dell’Ulss 3 Serenissima.
«Oggi – ha concluso il vicepresidente dell’Ordine Maurizio Scassola – parlando dei ragazzi abbiamo parlato molto di noi stessi, dei problemi nel relazionarci con loro e di quelli che abbiamo con i dispositivi. Come professionisti di diverse discipline dobbiamo confrontarci, essere sensibili e responsabili per riuscire a incidere su modelli che sembrano intoccabili». Esempio, consapevolezza, sinergia, rete: alcune delle parole chiave per affrontare il fenomeno.
Autore: Redazione