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I medici di fronte alla violenza: come comportarsi

Numerose,come da tradizione, sono state le manifestazioni che in occasione dell’8 marzo hanno proposto anche
all’interno
della comunità medicaitaliana approfondimenti e dibattiti sulla
presenza e condizione della donna-medico e sulla sopravvivenza di
elementi di non parificazione tra i generi all’interno della
professione. Come spesso è accaduto negli ultimi anni, Padova è stata
uno dei luoghi significativi di questa rete di convegni, sia per la
presenza di una forte e attiva componente femminile all’interno
dell’Ordine provinciale (con Antonella Agnello instancabile promotrice),
sia per la presenza dinamica di Giovannella Baggio, titolare della
prima cattedra universitaria in Italia dedicata alla Medicina di genere.

In questo contesto favorevole e stimolante si è tenuto il convegno “Donne e violenza: la cultura della prevenzione”,
i cui lavori,svolti nella cornice quattrocentesca della Scuola della
Carità, sono stati introdotti dal rettore dell’Università di Padova,
Rosario Rizzuto e conclusi da Paolo Simioni, presidente dell’Omceo
padovano e promotore del simposio. Molte le relazioni nell’agenda della
giornata (leadership al femminile, ruolo delle organizzazioni sanitarie
nella prevenzione della violenza di genere, vittime al femminile e
vittime al maschile…), ma i lavori sono stati avviati dalla presidente
della FNOMCeO Roberta Chersevani, che ha sviluppato un intervento
inaugurale di “doppio inquadramento” delle tematiche della giornata. Da
un lato la presidente ha infatti ricordato l’attuale dimensionamento
della componente femminile della professione medica italiana, dove le
donne-medico “sono circa 151.000, a fronte di 207.000 colleghi maschi,
un rapporto che però muta profondamente se si osserva l’incidenza
femminile nelle fasce d’età professionale più giovani. Il sorpasso
femminile sulla componente maschile avviene infatti già nella fascia tra
i 45 e i 49 anni, seguendo nella sostanza lo stesso trend che già
contraddistingue da anni le situazioni di Francia e Regno Unito”.

Queste cifre della “femminilizzazione della
professione”sono in realtà lo sfondo di un lungo cammino di riflessione
ordinistica, iniziato a Caserta nel 2007 con il convegno nazionale
“Medicina e Sanità declinate al femminile” e proseguito con decine e
decine di eventi nazionali e provinciali, che hanno creato un movimento
di cambiamento e rinnovamento radicale. La presidente della FNOM ha
ricordato che nel capiente bagaglio di riflessioni proposte della
Federazione nell’ultimo decennio ci sono ampie riflessioni sull’universo
professionale delle donne-medico: è stata infatti analizzata negli anni
la realtà della condizione professionale femminile, l’accesso alla
leadership in sanità (tema di un evento specifico tenuto a Firenze nel
2011), le varie sfaccettature del tema“medicina di genere”, i casi di
mobbing lavorativo causato dalla differenza di genere.

La FNOM non si è certa fermata alle problematiche
femminili “interne”alla professione: ha anche approfondito (e
contribuito con pubblicazioni, interventi e studi) in più di una
occasione le tematiche della violenza di genere ed ha riflettuto sul
contributo che la medicina e l’assistenza sanitaria multidisciplinare
possono dare alle vittime di violenza sessuale e di violenza domestica. E
qui, affrontando questi temi delicati, da un approccio
“statistico”,Chersevani si è spostata nell’ambito di una riflessione
sulla relazione di cura all’interno della sfera della violenza di
genere: “A cosa siamo chiamati”, si è domandata la presidente della
Federazione, “quando ci troviamo davanti una paziente che presenta
segni – magari impercettibili – di una violenza familiare? Come
comportarci di fronte alla drammatica frase ‘sono caduta e mi sono fatta
male da sola? Cosa ci è chiesto? Quali sono gli atteggiamenti culturali
e umani, oltre che professionali, che meglio sviluppano la relazione di
cura?”. Citando gli articoli 20 e 32 del Codice deontologico del medici
italiani (anno 2014), ed anche il Codice di etica medica dell’American
Medical Association (l’articolo 2.02 del codice americano si concentra
proprio sui doveri dei medici nella prevenzione, identificazione e
trattamento degli abusi e delle violenze come parte della storia medica
della singola persona: 2.02: Physicians’ Obligations in Preventing,
Identifying, and Treating Violence and Abuse), Chersevani ha ricordato i
riferimenti etici della professione medica verso i casi di violenza, ed
ha sottolineato i valori di “empatia” (“pert rattare questi soggetti,
la relazione di cura diventa ricca se è basata su autentica empatia”),
di “empowerment” (“che non èsolo un processo personale, ma è anche un
processo sociale, lo dicocitando Immanuel Wallerstein, fonda mentale
sociologo americano”) edi “ascolto attivo”, (“E’ il linguaggio non
verbale che dobbiamo cogliere e accogliere in un atteggiamento di
ascolto attivo; si tratta di una dinamica di approccio alle persone che
ho riscoperto proprio a seguito di un convegno della FNOM: mi riferisco
al seminario ”Segni parlanti, occhi che ascoltano” che la Federazione ha tenuto nel 2014 a Reggio Emilia”).

Di
fronte a oltre 150  medici, Roberta Chersevani ha concluso il suo
intervento suggerendo un approccio culturale preciso, che può essere
guida di una nuova autocoscienza professionale: “il medico è mediatore:
sta sempre in mezzo, tra salute e malattia, tra paura e speranza, tra
dolore e gioia, tra vita e morte. Siamone coscienti e attrezziamoci per
interpretare questo ruolo che supera le necessità burocratiche e
amministrative che sembrano gravare esageratamente sulla nostra
professione”.

Autore: Redazione FNOMCeO

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