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Obesità: un’epidemia mortale poco conosciuta e temuta

C’era una volta il tessuto adiposo, etichettato sui libri di Istologia e
Fisiologia come deposito di trigliceridi al quale l’organismo fa ricorso
in tempi carestia. Fino ai primi anni ’60 era infatti abbastanza
frequente trovare, tra gli scolari delle Elementari, casi di
malnutrizione da carenza alimentare o gli effetti patologici di questa
condizione dettata da uno stato di povertà inimmaginabile oggi: non era
ancora tramontata l’epoca del rachitismo e delle “colonie
elioterapiche”, dove gli effetti positivi dell’esposizione alla luce
solare si sommavano a quelli di una dieta normo-calorica ed equilibrata.
Un’evidente eredità di un passato sanitario in cui l’ospedale era un
luogo di carità cristiana e dove le guarigioni erano quasi sempre dovute
alle condizioni igieniche più tollerabili, rispetto alla “normalità”.
L’alimentazione da problema quotidiano da risolvere diventava molto
spesso la vera risorsa terapeutica messa in campo. Successivamente con
il “Miracolo Economico”, con i primi supermercati, la carne consumata
non soltanto nelle feste comandate, le merendine che prendono il posto
del pane e olio o pane, zucchero e burro, lo scenario cambia
radicalmente. Oggi ci troviamo a celebrare l’ “Obesity Day” perché nel frattempo
abbiamo scoperto che il tessuto adiposo è molto di più di un semplice
deposito di calorie disponibili e che l’obesità è un fattore patologico a
livello mondiale, persino nelle popolazioni appena liberate dall’incubo
della fame: un’evidente tendenza, tipica della specie umana, che paga a
caro prezzo la sua incapacità diffusa di nutrirsi in modo appropriato
nel “Primo” come nel “Terzo” Mondo.

L’“Obesity Day” che si celebra il 10 ottobre (VEDI),
nei giorni seguenti all’evento quest’anno ha prodotto una sorta di
polarizzazione tematica degli articoli comparsi in letteratura: il
ventaglio delle ricadute patologiche derivanti dal sovrappeso si allarga
infatti sempre più, di pari passo con le scoperte medico-biologiche che
via via chiariscono il ruolo del tessuto adiposo nel determinare uno
stato di malattia.

Il 12 ottobre “EPICENTRO”, il portale dell’Epidemiologia per la
Sanità pubblica ha dato conto di un importante articolo appena comparso
su “The Lancet”, relativo ai risultati di un imponente studio
internazionale sull’obesità infantile. “Negli ultimi 40 anni, nel mondo,
il numero di bambini e adolescenti obesi (tra i 5 e 19 anni) è
aumentato di dieci volte e in Italia la percentuale di bambini e
adolescenti obesi è aumentata di quasi tre volte nel 2016 rispetto al
1975”. Questo l’attacco del report pubblicato on line che sintetizza in
modo inquietante il risultato di uno studio allestito di concerto tra
Imperial College di Londra e Organizzazione mondiale della sanità (Oms),
i cui risultati sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista inglese
qualche giorno fa (VEDI).

“Lo studio –prosegue il report di “EPICENTRO” ha infatti analizzato
peso e altezza di circa 130 milioni di individui (più di 31 milioni e
mezzo con età compresa tra i 5 e i 19 anni, e 97 milioni con più di 20
anni) con l’obiettivo di osservare come i livelli dell’indice di massa
corporea (Imc) e dell’obesità siano cambiati dal 1975 al 2016. Nel
periodo preso in esame, nel mondo, l’obesità nei bambini e negli
adolescenti è aumentata da meno dell’1% nel 1975 (pari a 5 milioni di
ragazze e 6 milioni di ragazzi) a quasi il 6% nelle ragazze (50 milioni)
e quasi l’8% nei ragazzi (74 milioni) nel 2016.” Nel report si ricorda
anche (una sorta di perfetta altra faccia della stessa medaglia)
“l’elevato numero di bambini e adolescenti moderatamente o gravemente
sottopeso che rappresenta ancora una grande sfida per la sanità
pubblica, soprattutto nelle zone più povere del mondo”: una sfida a
tutto campo in quanto, come detto, il passaggio dalla fame all’obesità
può avvenire in tempi rapidissimi, dimostrando che il vero problema
potrebbe essere non di tipo sanitario ma di tipo politico-culturale
perché direttamente proporzionale alla carenza di educazione alimentare.

L’Italia ha partecipato allo studio pubblicato da The Lancet mettendo
a disposizione i dati raccolti da diverse “sorveglianze di popolazione
coordinate dall’Istituto superiore di sanità (Iss), come quelli di OKkio
alla Salute (VEDI) e del Progetto Cuore (VEDI)”.

Sempre “The Lancet”, il 14 ottobre scorso, ha pubblicato sul tema
dell’obesità, un altro articolo (sin dal titolo decisamente crudo più
che lineare: “Il legame tra obesità e cancro”) che è un’analisi più
puntuale di un’evidenza epidemiologica già nota da tempo: la maggior
frequenza di neoplasie maligne nella fascia di popolazione in
sovrappeso.

Un recente report elaborato da alcuni Centri statunitensi di
rilevazioni epidemiologiche ha individuato tre organi bersaglio in
questo rapporto potenzialmente mortale: fegato, rene, ovaio. Le
neoplasie metastatiche a loro carico, da sole rappresentano il 40% dei
tumori diagnosticati negli Usa, pari nel 2014 a 630.000 nuove diagnosi
di malattia. Le rilevazioni affermano poi che le donne in questo
rapporto giocano il ruolo di vittime quasi predestinate: si stima che il
55% dei tumori diagnosticati nelle donne sia collegabile a sovrappeso e
obesità contro il 24% fatto registrare nel campione maschile.

La strada della consapevolezza, dalle semplificazioni del passato
sulla natura biologica del tessuto adiposo ai rilievi sperimentali
pubblicati qualche giorno fa, sembra essere però tracciata e il tragitto
non può che passare dalla conoscenza, dallo studio, dalla ricerca,
dalla comunicazione sempre più attendibile ed efficace per imprimere un
ribaltamento culturale. Per quanto riguarda l’approfondimento
conoscitivo, una sintesi efficace delle nuove scoperte sulla natura del
tessuto adiposo e sugli effetti mediati e immediati prodotti sul
metabolismo la si può scaricare a questo link (VEDI).

Autore: Redazione FNOMCeO

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