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Ignazio Marino: la spending rewiev non renda la sanità ancora più precaria

Mai estate fu così rovente come questa del 2012. E non solo per le temperature “africane” specialmente nelle città, ma soprattutto per le fibrillazioni che attraversano Istituzioni e politica. Quest’anno o niente ferie o poche ferie, a partire da Palazzo Chigi con il coinvolgimento delle Camere: in pieno agosto, non si è fermata l’attività parlamentare mentre la politica è già entrata in piena campagna elettorale per le elezioni di primavera. E l’Italia attraversa questo mese di agosto tra speranze e scetticismo, e gli italiani hanno imparato a dare un’occhiata agli spread come una volta davano un’occhiata agli oroscopi. E, tra un vertice europeo e le misure della spending rewiev, ci si interroga su come sarà l’immediato futuro, se ripartirà l’economia, se si ridurrà la disoccupazione, se, se, se…e ci sono più punti interrogativi che certezze.

E questi chiari di luna influiscono su ogni settore della vita economica e sociale del Paese, coinvolgendo in primis la vasta area della Pubblica Amministrazione, ormai stretta nell’esigenza “irrinunciabile” di ridurre i costi, gli sprechi, la spesa pubblica in generale. E non si salva la sanità, non si salvano le spese di Regioni ed Enti locali, la morsa del contenimento della spesa interessa proprio tutti, questa volta. Nell’affrontare l’estate del nostro scontento, proviamo a fare un punto della situazione per quanto riguarda la sanità e lo facciamo con il senatore Ignazio R. Marino, Presidente della Commissione sull’efficacia e l’efficienza del Servizio Sanitario Nazionale. 55 anni, Ignazio Marino è alla sua seconda legislatura in Senato: nella precedente è stato Presidente della Commissione Igiene e Sanità. Chirurgo dei trapianti, è stato a lungo negli Stati Uniti. Affronta le questioni forte della sua esperienza di medico in prima linea. Tra le frasi da lui coniate (e preferite), ne estrapolo tre, tanto per dare un’idea dello spessore del personaggio: «Un paese che non investe in ricerca e innovazione svende il proprio futuro»; «La professione di medico è una missione di solidarietà verso gli esseri umani»; «Il mondo della politica costituisce una sfida esaltante per tutto ciò che può essere realizzato per il bene di tutti».

Questo è Ignazio Marino, queste sono le motivazioni profonde che lo spingono ad agire nella professione e nella politica, sia quando ha contribuito a fondare e poi diretto l’Ismett a Palermo,dal 1999, sia nei successivi impegni politici. Autore, assieme al Cardinale Martini del “Dialogo sulla vita” (2006) ha pubblicato due libri: “Credere e curare” (2005) e Nelle tue mani (2009).


Senatore Marino, alla luce della spending rewiev, quali saranno le maggiori criticità che si determineranno nel SSN?
Mi sembra difficile dimostrare che la spending review non si tradurrà in una drastica riduzione dei servizi. Il taglio dei posti letto, deciso nonostante l’Italia sia già sotto la media europea dei 5,2 letti per mille abitanti, doveva essere accompagnato da un aumento dei posti per la riabilitazione e la lungo degenza. Il solo taglio qualifica questo provvedimento per quello che è: un rastrellamento di risorse e non una riforma, che indebolirà particolarmente regioni in cui la sanità pubblica è già precaria. Si è parlato di eliminare i doppioni e i servizi inutili e in questa direzione si doveva agire se l’obiettivo è rendere il sistema più efficiente. Gli interventi devono però essere mirati ed equi: in Molise per esempio ci sono due neurochirurgie per 250mila persone quando le direttive internazionali dicono che ne serve una ogni milione e mezzo di abitanti. In Sicilia ce ne sono 10. Che dire poi dei 35 reparti di emodinamica del Lazio, delle 20 cardiochirurgie della Lombardia, di una concentrazione di tac e risonanze magnetiche nella provincia di Varese superiore a tutta la Svizzera? Non procedere con la spending review in base ad analisi accurate, significa applicare riduzioni indiscriminate. I tagli colpiranno allo stesso modo le regioni virtuose e quelle negligenti. Questo non è accettabile.

Si avvicina la pausa estiva. Qual è il bilancio del lavoro della Commissione sull’efficienza e sull’efficacia del SSN da Lei presieduta?
Credo che la Commissione d’Inchiesta rappresenti un importante strumento di controllo per il nostro servizio sanitario caratterizzato ancora da inaccettabili diversità a livello regionale. Le verifiche e le indagini ci hanno permesso di portare alla luce le anomalie di alcuni sistemi regionali e, di conseguenza, le disparità di trattamento delle persone che si ammalano, che dovrebbero invece essere assistite allo stesso modo in ogni parte del Paese come prevede l’articolo 32 della Costituzione. Direi quindi che uno dei nostri obiettivi fondamentali è lavorare per garantire tale uguaglianza. Il bilancio è positivo, nonostante vi siano ancora aspetti su cui dobbiamo lavorare. Ad esempio, abbiamo avviato alcuni mesi fa una inchiesta sulle Rsa, le residenze sanitarie assistenziali. Vogliamo renderci conto in maniera diretta di quali siano le condizioni di questi luoghi, nei quali vive un numero molto elevato di persone fragili e anziane. Io mi auguro, e lo dico con sincerità, di non trovare le situazioni degradanti che abbiamo visto negli ospedali psichiatrici giudiziari. Però è innegabile che vi siano state negli ultimi mesi denunce, attraverso la stampa e la televisione, di comportamenti preoccupanti all’interno di queste strutture. E’ un tema sul quale continueremo a lavorare per tutta la durata della legislatura cercando di capire quali possano essere le carenze e soprattutto se esistono disparità, e in quale misura, tra il Nord e il Sud.

Nell’analisi che progressivamente state compiendo, quali sono stati i casi più eclatanti in cui vi siete imbattuti, sia in positivo sia in negativo?
“Gli Ospedali psichiatrici giudiziari (Opg): una inchiesta di due anni che ha portato a un risultato importante, visto che la Commissione d’inchiesta ha ottenuto a febbraio l’approvazione da parte delle Camere di un articolo di legge che ne dispone la chiusura entro il 31 marzo 2013.
Abbiamo visitato tutte le strutture italiane (oltre a Barcellona Pozzo di Gotto, ce ne sono altre cinque: Montelupo Fiorentino, Aversa, Napoli Secondigliano, Reggio Emilia e Castiglione delle Stiviere) e le condizioni di radicale degrado osservate nelle prime visite in molti di questi istituti, sono rimaste le stesse. Immagini un ospedale – perché questi dovrebbero essere luoghi di cura dell’infermità mentale – dove bisogna scegliere se utilizzare l’acqua per il sistema antincendio o per lo sciacquone dei bagni; dove le lenzuola non vengono cambiate per settimane e a volte sono gli stessi operatori a portarle da casa; dove in inverno il riscaldamento funziona a intermittenza; dove l’assistenza medica viene garantita da un infermiere ogni 25-30 internati e l’assistenza psichiatrica viene garantita per trenta minuti al mese; dove, ancora, stanze da quattro ospitano nove internati su letti a castello, condizione che è stata definita ‘tortura’ da una delegazione del Consiglio d’Europa.?Ora è stato fatto un passo avanti: questo ‘estremo orrore’, così come lo ha definito il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, può essere fermato perché sono stati disposti tempi certi di chiusura e superamento. Al posto degli Opg sorgeranno piccole strutture da 30 o 40 posti letto, dotate di tutta l’attrezzatura necessaria per l’assistenza ai pazienti, con infermieri, medici, psichiatri ed esperti di riabilitazione che possano finalmente fare il loro mestiere: curare la mente e il corpo. Ogni Regione avrà il proprio piccolo ospedale, in modo da non costringere i pazienti a essere trasferiti in un altro luogo. Non è stata sottovalutata, tuttavia, la necessità di garantire la sicurezza, per cui all’esterno dei centri di cura la sorveglianza sarà assicurata dalla polizia penitenziaria. Questa riforma sarà finanziata con 273 milioni in due anni, di cui 180 destinati alla realizzazione dei nuovi luoghi di cura e 93 all’assunzione di personale qualificato.
Negli attuali Opg, secondo i dati della Commissione, ci sono circa 1.400  persone di cui più di 900 riconosciute ancora pericolose per sé e per gli altri: saranno loro ad essere trasferite nelle nuove strutture. Altre 500 circa, invece, sono ritenute non più socialmente pericolose e hanno il diritto di uscire ma, di fatto, non riescono a varcare la soglia dell’Opg, dove alcuni sono chiusi contro la legge anche da trent’anni. Non hanno un posto dove andare e continuano ad aspettare che lo Stato, la Regione o il Comune si ricordi di loro e li accolga in una struttura. Per loro deve valere un principio essenziale, affermato dalla Corte costituzionale: le esigenze di tutela della collettività non possono mai giustificare misure tali da recare danno alla salute del malato, quindi la permanenza negli ospedali psichiatrici giudiziari che aggrava la salute psichica dell’infermo non può proseguire. Queste persone dovranno essere dimesse e assistite sul territorio dai dipartimenti di salute mentale. Parliamo di meno di venticinque persone, in media, per Regione. Non è una missione impossibile, ma se tale si dovesse rivelare per alcune Regioni, lo Stato interverrà, individuando una soluzione per ciascun paziente.

Autore: Redazione FNOMCeO

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