In passato, quando al termine della degenza ospedaliera, il paziente rientrava al proprio domicilio, la situazione clinica era di solito risolta o discretamente stabilizzata ed il trattamento domiciliare poteva prevedere, oltre al classico periodo di convalescenza, una terapia farmacologica, temporanea o protratta, la cui gestione non creava particolari problemi né a lui, né ai suoi familiari. In questo scenario, per organizzare e garantire la continuità assistenziale, era sufficiente la lettera di dimissione contenente le informazioni e le conclusioni cliniche con il solito elenco finale delle prescrizioni terapeutiche.
Negli ultimi anni, in Italia, così come nel resto dei paesi sviluppati, si è assistito ad un progressivo aumento della popolazione anziana con conseguente incremento sia quantitativo che qualitativo dei bisogni di salute legato alle patologie cronico-degenerative tipiche di questa fascia d’età. Questo ha messo in crisi la esistente organizzazione ospedalo-centrica della Sanità e, come conseguenza, si è proceduto ad una sua riorganizzazione tenendo conto, come filosofia, della corretta appropriatezza tra i bisogni di salute dell’utente e strutture sanitarie preposte al loro soddisfacimento.
I nosocomi sono stati “riconvertiti” in strutture dedicate a fronteggiare, col regime di degenza, prevalentemente condizioni cliniche caratterizzate da acuzie. La nuova mission di “Ospedali per acuti” ha comportato diverse decisioni quali, come esempi, una nuova riallocazione delle risorse sanitarie fra ospedale e territorio e la esclusione dalle degenze ordinarie e di DH dei pazienti con DRG inappropriati. Il trasferimento nel territorio di questa mole di pazienti cui si sono aggiunti anche i casi di pazienti acuti che, una volta stabilizzati anche con presidi più o meno sofisticati, vengono dimessi e trasferiti alle strutture ed al personale territoriali ha ,di fatto, spostato in questo nuova spazio operativo la criticità clinico-assistenziale.
La gestione di cateteri vescicali a permanenza o venosi centrali, di sonde per la nutrizione enterale o parenterale, di microinfusori, di ventilazione più o meno assistita etc presuppongono una particolare integrazione sia tra i professionisti del territorio nonchè fra questi ed i colleghi dell’Ospedale. In effetti solo la comune progettazione ed adozione di protocolli di dimissioni protette e l’introduzione di un sistema comunicativo efficace e continuo possono costituire una pur minima integrazione che sia garanzia della continuità del trattamento e della conseguente sicurezza del paziente.
La continuità delle cure, intesa come strategia per migliorare l’approccio al paziente complesso e a garanzia di un trattamento di qualità, è il tema affrontato nel volume “La continuità di cura ed assistenza al paziente complesso” a cura di Carla Destro e Nicola Sicolo (Editore CGE Medico-Scientifiche pagg. 181 € 25,00), con il quale gli Autori – come si legge nella prefazione – non hanno inteso fornire soluzioni miracolistiche al problema, ma solo sottolineare la gravità del problema attraverso la testimonianza di esperienze frutto, molto spesso, di iniziative personali o locali.
“Il tema affrontato, data la sua complessità, avrebbe sicuramente richiesto una trattazione organica e completa – ha affermato Nicola Sicolo – In realtà solo una pattuglia di volenterosi, pur consapevoli della difficoltà connessa anche alla attualità dell’argomento, ha accolto il nostro invito. Pertanto la lettura dei vari capitoli potrà, senza dubbio, far emergere la presenza di una certa discontinuità logica dei contenuti che potrebbe essere considerata come un difetto dell’iniziativa. Tale disarticolazione tuttavia rispecchia lo stato della realtà esistente nello scenario sanitario nazionale e questo rappresenta ciò che gli Autori si prefissavano di ottenere con il presente volume. Non quindi proposte di ipotetiche, teoriche e ambiziose soluzioni del problema, ma solo una testimonianza di tante lodevoli iniziative che, pur fra loro non collegate e non inserite in un progetto organico, tendono tutte a indicare come il problema della continuità delle cure e la integrazione fra i vari professionisti e tra ospedale e territorio, troppo spesso usati come slogan di politiche sanitarie, rappresentino una emergenza culturale ed organizzativa non più rinviabile”.
“L’integrazione professionale – aggiunge Carla Destro – costituisce sicuramente il primo ed obbligatorio passaggio del progetto. Questo obiettivo, ovvio e apparentemente facile da raggiungere, è in realtà compromesso dalla storica distanza fisica e culturale che nasce già nel periodo della formazione di base e si accentua nella successiva prassi operativa. Usando un classico gioco di parole, per ottenere una integrazione professionale e culturale bisogna ricercare e sviluppare una reale cultura della integrazione professionale. Con questa finalità, questo volume è dedicato a quanti fra i professionisti e referenti della sanità, avendo a cuore la salute e la sicurezza del paziente, sono disposti a rinunciare a pregiudizi ed avviare un sincero e fruttuoso confronto”.
Autore: Redazione FNOMCeO