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La morte di Claudio Carosino: il ricordo di Tiberio D’Aloia, presidente dell’OMCeO di Parma

UNA MORTE INSULSA. CHE SIA STRUMENTO DI RESURREZIONE DI UNA CATEGORIA

Che cosa dire ? Cosa fare? La domanda dopo una siffatta sciagura, la perdita della vita di un medico mentre esercita la sua professione. Una sciagura della famiglia ed una sciagura per un’intera categoria, pari a quella della dottoressa Roberta Zedda che ha perso la vita, lavorando , nel 2003 uccisa con venti pugnalate ad Oristano durante il suo turno di Guardia Medica, o come quella della collega stuprata e picchiata a Scicli di Ragusa nel marzo scorso sempre durante il suo turno di continuità assistenziale.

Ora tocca ad un medico affermato, modesto ed umile, colto e grande proprio per la sua modestia ed umiltà, capace e pronto a rispondere a tutti: un medico all’antica si direbbe. Un Medico. Colui che impersonava quegli aspetti che ne hanno fatto un esempio nella professione, nel sociale, nell’insegnamento della medicina di famiglia, nella formazione come anche nel giudizio sui giovani laureati prima della loro definitiva abilitazione alla professione.

Ma modestia ed umiltà non certo significavano certamente paura di esporsi, anzi. Era da sempre in prima linea per avvalorare il concetto di prendersi cura del paziente fondamento della buona cura, un concetto che vedeva proprio nell’empatia il punto base per istaurare e consolidare quel rapporto “medico e paziente” che solo il vero medico possiede e che con tenacia difende.

Un essere in piena regola cosciente dei limiti ma strenuo difensore dei valori che sono propri della categoria che pensa ed agisce con coerenza e dignità. Magari senza proclami, sebbene in una società come la nostra in cui, senza volerne ad alcuno, è preferibile apparire e dire di fare piuttosto che fare senza i clamori della ribalta.

Quando si dice che in questa vicenda si riconosce un’intera categoria, si crede che tutti,ma nessuno escluso, debbano farsi un esame di coscienza: c’è ancor oggi chi perde la vita per una missione. E lo fa senza voler mostrare a chicchessia quanto faccia. Di contro, la nostra stessa società è sempre pronta a elencare le malefatte, quasi sempre supposte, del medico ed è pronta a chiedere danni invocano la mala sanità, quasi che questa ne sia la norma. Come se l’imponderabile non esistesse.

O non considerasse, sfuggendone il concetto, che non sia possibile pensare al termine naturale della vita quand’anche le cure per quanto pronte possano essere inefficaci. Predomina fra i più il concetto del dolo, dell’imperizia, dell’inettitudine come se quegli esempi di dedizione e competenza professionale, impersonati dal collega Claudio Carosino, siano sporadici. E’ nostro dovere, di tutti i medici, difendere una categoria così tanto bistrattata, ma di contro la categoria deve saper trovare gli stimoli non solo per la sua autodifesa, mettendo in mostra quella parte sana ed indiscutibilmente forte, per contrastare con quella tendenza, ancor oggi isolata, che vede nel mercimonio della professione il solo fine plausibile della professione.

La categoria medica si riconosce in quei valori, che l’Ordine difenderà a spada tratta, e che hanno portato all’estrema conseguenza la vita professionale di un medico. Ma quei valori vanno salvaguardati e difesi, con la costanza, la testimonianza attiva, con la solidarietà e con la colleganza. E’ duro dirlo ma simili tragedie fanno crescere. Anche se, in tutta onestà, delle tragedie potremmo e dovremmo farne a meno.

Che l’insulsa tragedia della morte, la vera malattia dell’uomo contro cui combatte dalla nascita, può diventare uno strumento per una risurrezione di un’intera categoria. Che il sacrificio di un vero Medico, sia un esempio della grandezza di una professione da perpetuare e da difendere da tutto ciò che non ne faccia parte.*

Tiberio D’Aloia
Presidente dell’Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della provincia di Parma

Autore: Redazione FNOMCeO

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