Secondo la Suprema Corte “l’esercizio abituale di una attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi” (art. 2 della legge n. 446/1997) grava sull’azienda sanitaria e non sul dipendente che rende la prestazione, sicché l’ammontare di essa non può essere oggetto di “traslazione”, nel senso che l’azienda non può pretendere di porla ad esclusivo carico del dipendente, una volta determinate le quote rispettivamente spettanti, e detrarla dal compenso a quest’ultimo dovuto, perché in tal caso e, nell’ipotesi in cui si chieda la restituzione di somme già corrisposte, si finirebbe per far gravare l’obbligo impositivo su un soggetto diverso da quello che esercita l’attività produttiva del servizio. Pertanto, ne deriva che il costo sostenuto per l’IRAP non può essere traslato sul medico che svolge l’attività professionale intramoenia, per mezzo di una sostanziale riduzione del suo compenso; ma deve essere traslato sull’utenza, per mezzo di una tariffa adeguata.
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